lunedì 21 ottobre 2013
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La civiltà dei computer in cui siamo sempre più immersi ha un piccolo grande debito nei confronti di una suora. Si chiamava Mary Kenneth Keller, delle Suore della Carità della Beata Vergine Maria, una congregazione fondata nell’Ottocento in Irlanda ma che ha avuto negli Stati Uniti il suo principale campo di azione. Suor Mary Kenneth è stata la prima persona a ottenere un dottorato in informatica negli Stati Uniti, nel 1964, dall’Università di Wisconsin-Madison. Lo ha dimostrato quest’anno, dopo uno scavo meticoloso, uno storico dell’informatica dell’Università di Portland, Ralph L. London. Ma non è stato questo l’unico dei suoi primati. Per dirne un altro, nel 1958 fu la prima donna a essere ammessa al futuristico computer center dell’Università di Darmouth, nel New Hampshire, in anni in cui per lo statuto del centro, oggi fa effetto pensarci, erano ammessi ai lavori soltanto uomini. Suor Mary Kenneth entrò in laboratorio con il suo velo preconciliare da Sister Act e ne uscì guadagnandosi la stima di ruvidi colleghi abituati a parlarsi tra loro in linguaggio macchina. Diede tra l’altro un contributo allo sviluppo di un altro linguaggio, semplice ma duttile e potente, il Basic, che debuttò pochi anni dopo implementato su un calcolatore di Dartmouth e che negli anni Settanta e Ottanta avrebbe permesso il boom dei personal computer. Quest’anno suor Mary Kenneth avrebbe compiuto cent’anni: era nata infatti nel 1913 a Cleveland. Era entrata in noviziato a diciannove anni, dopo aver frequentato le scuole delle Suore della Carità. Vista la sua attitudine agli studi sia umanistici sia scientifici la congregazione l’aveva messa subito a insegnare, ma il talento era tale che, dopo aver professato i voti perpetui nel 1940, benché non fosse usuale allora investire sulla formazione accademica di una religiosa, a suor Mary Kenneth fu permesso di prendersi una laurea in matematica alla Università DePaul di Chicago. Qui fece un incontro che le cambiò la vita, quello appunto con un computer. «Andai a vederne uno e non tornai più indietro», ricordava da anziana. Negli anni Cinquanta le sue alunne adolescenti l’ascoltavano un po’ stranite quando le spronava a interessarsi a quegli elaboratori sofisticatissimi allora appannaggio di centri specializzati, perché «non ci sono abbastanza persone in grado di usarne uno – diceva – e presto sarà un’emergenza». Vedeva lontano, senza dubbio. Poi venne il dottorato in informatica, alla non tenera età di cinquant’anni, che concluse con una tesi sull’elaborazione di algoritmi per la soluzione analitica di equazioni differenziali, scritti in linguaggio Fortran 69. Quel dottorato suor Mary Kenneth l’aveva ottenuto anche a coronamento dei suoi sforzi pionieristici. Un anno prima aveva introdotto a scuola un prototipo del Bi-Tran Six, un computer pensato per l’apprendimento dell’informatica da un’azienda di Minneapolis. Finito il dottorato la sua attività si spostò al Clarke College di Dubuque, una tranquilla cittadina al confine tra Iowa e Wisconsin, dove le venne offerta una cattedra. Lì mise in piedi il dipartimento d’informatica che diresse per quasi vent’anni. Soprannominata “il computer di Clarke”, i suoi ex studenti la ricordano come silenziosa e dal portamento austero, ma generosa nell’insegnamento e dalla battuta tagliente. Divenne un’autorità e un punto di riferimento per chi si occupava di informatica. Consulente per diverse aziende, sviluppò programmi per la gestione del bilancio dello Stato dell’Illinois, per ospedali e per l’amministrazione di Dubuque. Con i proventi di quei lavori extra potenziò il dipartimento di Clarke, facendolo diventare un centro di eccellenza. Anche Richard Buckminster Fuller, uno dei più eclettici architetti e inventori statunitensi del Novecento, famoso per le sue cupole geodetiche, si rivolse alla religiosa programmatrice per imparare a usare il computer nei suoi progetti, con una serie di lezioni intensive. Ne uscì euforico. Suor Mary Kenneth si occupò di vari ambiti, comprese le ricerche sull’intelligenza artificiale, ma il suo pallino rimase sempre quello dei computer come supporto all’istruzione e la formazione di personale capace sfruttare le potenzialità della rivoluzione informatica. Con un accento sulla necessità di personale femminile, non solo maschile. In questo seguì il carisma pedagogico della sua congregazione, in modo tanto singolare quanto lungimirante. Alla sua morte nel 1985 le consorelle parlarono di lei come di una religiosa esemplare, con una vita di pietà incentrata sul mistero della Trinità e sulla ricerca in ogni ambito della volontà di Dio, come testimoniato anche dalle sue lettere e dalle sue carte private. Il computer, scriveva, l’aveva aiutata ad esercitare due virtù: l’umiltà, perché gli errori non sono della macchina ma del programmatore, e la pazienza, nelle infinite operazioni di de-bug”, nel cercare le linee di codice contenenti errori e correggerle. La sua vocazione al servizio, in particolare, fu salda fino all’ultimo. Come ricorda Jennifer Head, l’archivista delle Suore della Carità che ha raccolto materiale e testimonianze sulla sua vita, quando si ammalò di cancro, nel 1983, fu ricoverata a Marian Hall, una casa di cura per anziani in Pennsylvania. Si fece portare un personal computer, un Apple IIe, e organizzò un corso per i degenti. La sua classe risultò composta da dodici studenti, di cui quattro in carrozzina, due con le stampelle e uno quasi cieco, età media vicina agli ottanta. Con il suo Apple aiutò la casa di cura a organizzare i pasti, con menù più equilibrati dal punto di vista nutrizionale, monitorando le esigenze dietetiche degli ospiti e i medicinali che dovevano prendere. Smise solo quando il dolore ebbe il sopravvento.
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