giovedì 23 gennaio 2014
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Tel Aviv, fine anni ’80. Amnon Weinstein è liutaio, come suo padre Moshe, emigrato dalla Germania in Palestina nel 1938 per sfuggire al nazismo. La Shoah è un argomento tabù nella sua famiglia, sterminata nelle camere a gas. Sotto il sole di Israele Amnon pensa al suo mestiere di costruttore di violini, appreso in casa e specializzato a Cremona. Ma la storia bussa alla sua porta. Un sopravvissuto dell’orchestra di Auschwitz gli chiede di riparare il suo strumento che vuole donare al nipote. Quando Weinstein apre il violino vi trova cenere. Quella dei forni crematori.«Fu uno choc – dice – ma all’epoca non mi volevo occupare di questo genere di cose: troppo doloroso». Ma quello strumento e la sua storia gli entra dentro. E a partire dagli anni ’90 comincia a inseguire, collezionare e restaurare i violini della Shoah, che lui ribattezza i "violini della speranza". Oggi sono oltre cinquanta gli strumenti raccolti e curati da Weinstein. Ci sono violini e violoncelli che appartenevano di cui si conosce il nome, a volte anche l’aspetto. Alcuni di loro hanno accompagnato con il loro suono l’orrore di chi marciava verso le camere a gas. Ci sono poi i violini senza proprietari, che dopo l’emigrazione smisero di suonare, troncando quello speciale legame che c’è tra mondo ebraico e musica. Altri ancora sono legati alla nascita della Israel Philarmonic Orchestra, fondata nel 1936 da Bronislav Hubermann e Arturo Toscanini in Palestina. I musicisti, appreso quanto avveniva in Europa, si rifiutarono di suonare su strumenti fabbricati in Germania. Un ultimo gruppo vede una serie di violini decorati con la Stella di Davide, appartenuti a musicisti ambulanti klezmer, e suonati nei matrimoni e nelle feste.Tredici di questi strumenti (dodici violini e un violoncello) suoneranno stasera, per la prima volta in Italia, al Parco della Musica di Roma in occasione della Giornata della Memoria (diretta tv su Rai 5, ore 20.00). Per "I Violini della Speranza", evento organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane insieme all’Università Ebraica di Gerusalemme e BrainCircleItalia, saliranno sul palco importanti concertisti: a partire dall’archetto illustre di Shlomo Mintz, ebreo e israeliano; il giovane e affermato talento italiano di Francesca Dego, di madre ebrea (46 membri della sua famiglia non fecero mai ritorno da Auschwitz); Cihat Askin, turco e musulmano; e il 26enne Ermir Abeshi, albanese, cattolico di famiglia musulmana. Il violoncellista tedesco Alexander Hülshoff suonerà invece il violoncello appartenuto a David Popper, figlio del Cantore del Ghetto di Praga, trucidato dai nazisti il 19 gennaio 1945. Storie, religioni, età diverse che si riuniranno simbolicamente insieme, a testimoniare la capacità della musica di essere dialogo, anche quando la volontà dell’uomo la piega a motivo di divisione (Elie Wiesel ricorda come i nazisti proibivano agli ebrei di suonare Beethoven), nel Concerto per quattro violini  RV 580 di Antonio Vivaldi. Con loro la JuniOrchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, composta da ragazzi dai 14 ai 21 anni, diretta da Yoel Levi.Se chiedete a Weinstein perché il violino ha sempre avuto un legame profondo con gli ebrei, risponde con un’altra domanda: «Hai mai provato a scappare con un pianoforte?». «Della Shoah abbiamo le immagini ma non la voce – dice la giornalista Viviana Kasam, ideatrice conMarilena Citelli Francese dell’evento –. Lo yiddish, la lingua parlata da 11 milioni di ebrei nell’Europa dell’Est, è stata cancellata da un giorno all’altro. Ci rimangono le voci di questi violini». Voci di violini poveri e popolari, il cui suono però oggi brucia in profondità ben più di quello di strumenti dal grande blasone. Reliquie di un incomprensibile martirio, le loro casse armoniche vibrano di memoria. Ecco perché l’attrice Manuela Kustermann racconterà al pubblico le storie di questi strumenti. Come quella del "violino di Auschwitz", dove saper suonare poteva significare una chance di sopravvivenza. Nel 1946 Abraham Davidovitz, un sopravvissuto dell’Olocausto, lo ricevette in dono da un compagno di prigionia che non poteva più imbracciare lo strumento che gli aveva di fatto salvato la vita. Dopo 65 anni, duranti i quali rimase chiuso in un armadio, i figli di Abraham decisero prima di donarlo allo Yad Vashem ma dopo aver compreso che il silenzio non era il suo destino, lo hanno portato a Weinstein. Il "violino di Drancy" proviene invece dal campo di internamento della cittadina presso Parigi, dove 65mila ebrei francesi attesero di essere trasportati con i treni bestiame nei lager tedeschi. Solo in 2mila tornarono. Durante una sosta per un guasto al convoglio un braccio si sporse da una feritoia gridando a un operaio: «Prendi questo, non ne avrò bisogno dove sto andando». Un violino disprezzato perché considerato senza valore economico da proprietari e liutai, finché un giovane apprendista francese, conosciutane la storia, commosso lo restaura negli anni ’90. O infine, il "violino Krongold/Zimmerman", emigrato con il suo proprietario in Uzbekistan e poi arrivato a Weinstein nel 1999. Quando Amnon lo aprì, vide che era stato costruito dal liutaio che insegnò il mestiere a suo padre in un’Europa dove ancora la musica era un’arte di pace.
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