mercoledì 23 aprile 2014
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La Bibbia è il primo e fondamentale riferimento per comprendere la zoologia simbolica della civiltà cristiana. Le pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, infatti, pullulano letteralmente di animali. Dall’astuto serpente della Genesi al rosso drago dell’Apocalisse non c’è libro delle Sacre Scritture in cui non si faccia cenno, apertamente o velatamente, a quadrupedi, predatori, volatili, rettili e quant’altro.Ma gli ippocentauri, dal busto umano dalle zampe di cavallo esistono davvero? E i satiri dalla fisionomia caprina? E le sirene dalla coda di pesce? Da dove arrivano i grifoni, i cui artigli erano conservati come reliquie nelle cattedrali? E come sono fatti i draghi, dal Satana vinto dall’esercito celeste guidato dall’arcangelo Michele al rettile pestifero infilzato dalla lancia di San Giorgio? La risposta a questi e a tutti gli interrogativi di tal genere è già contenuta nelle parole del vescovo di Ippona: esistano o meno tutte queste creature fantastiche, il cristiano deve badare innanzitutto all’insegnamento spirituale che esse possono esprimere.«Fratelli, siano vere quelle cose che si dicono del serpente e dell’aquila o siano invece una leggenda degli uomini anziché la verità, tuttavia nelle Scritture c’è sempre la verità e non è senza motivo che le Scritture ci riferiscano tali cose. Mettiamo quindi in pratica ciò che tali immagini significano, e non affatichiamoci a cercare se corrispondono o meno a verità». E comunque, si chiede l’uomo medievale, chi siamo noi, esseri mortali dalla conoscenza e dall’esperienza così limitate, per dubitare dell’esistenza di animali anche del tutto diversi da quelli che vediamo nelle nostre campagne o nei nostri boschi, o per contestare l’effettiva presenza, magari in terre lontane e sconosciute, di creature straordinarie o mostruose, terribili o meravigliose, enormemente grandi o infinitamente piccole? Sarebbe come voler porre un limite alla potenza creatrice di Dio, che invece è il signore della natura e di tutte le cose. «Signore, nulla ti è impossibile», proclama il profeta: così che, nella sua infinita onniscienza, ogni cosa da lui creata ha un senso e una ragione.Per questo le chiese romaniche, in particolar modo, sono affollate di quelli che comunemente chiamiamo «mostri» (intendendo con ciò, noi moderni, qualcosa di irreale e di incredibile, laddove invece bisognerebbe recuperare l’originario significato attribuito da Agostino, che a sua volta lo mutua dagli antichi, secondo il quale «monstra deriva da monstrando, dal momento che fanno conoscere qualcosa indicandola»; così come «prodigia dal fatto che "dicono prima", cioè predicono le cose future»).A mostrare, appunto, che l’intero universo, con tutti i suoi segni, le sue allusioni, i suoi simboli, partecipa della gloria di colui che l’ha creato, come un’incessante ierofania. Perché proprio il prodigio è il segno dell’onnipotenza di Dio.I bestiari, e in particolare i libri dei «mostri», diventano allora in epoca medievale l’espressione letteraria delle più alte conoscenze teologiche e metafisiche, illustrate dagli artisti con immagini scolpite o dipinte. Immagini, dunque, che non hanno una funzione decorativa né uno scopo narrativo, ma che presentano semmai un valore pedagogico, quindi non sempre immediatamente comprensibili, pretendendo da chi le osserva uno sforzo di interpretazione, una capacità di analisi, una conoscenza pregressa: un desiderio, insomma, di conquistare quelle verità spirituali e di ascendere a quelle mistiche illuminazioni che in esse si occultano.Che è poi il compito stesso dell’arte, come affermano i maitre à penser del XII secolo (Sigiero di Saint-Denis così come Bernardo di Chiaravalle): far sorgere lo spirito cieco verso la luce, risuscitarlo della sua sommersione interiore. L’arte, insomma, come strumento di rivelazione, di rinascita, di quella conversione che deve continuamente operare all’interno dell’uomo, al di là del semplice approccio emozionale di uno sguardo.
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