sabato 20 luglio 2013
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«La Chiesa mi vuole vescovo per mandarmi in Bulgaria, ad esercitare, come visitatore apostolico, un ministero di pace. Forse sulla mia via mi attendono molte tribolazioni...», scriveva sul “Giornale dell’anima” Angelo Giuseppe Roncalli, alla vigilia della sua ordinazione episcopale nel marzo 1925. E infatti presto nel Paese delle rose, dove sarebbe rimasto per ben dieci anni, avrebbe conosciuto soprattutto le spine, pur continuando a dare affidamento al suo motto episcopale “Oboedientia et pax”. E proprio queste parole sarebbero state la bussola del suo servizio in una terra ortodossa dove pure vivevano quasi trentacinquemila bulgari cattolici, divisi tra una maggioranza di rito latino (specialmente nel Nord, sostenuta da forti congregazioni religiose occidentali legate alle diplomazie dei rispettivi Paesi) e una minoranza uniate (più debole, considerata freddamente tanto dai latini quanto dagli ortodossi). Agli anni bulgari di Roncalli sono dedicati due volumi appena arrivati in libreria, che attingono anche a fonti inedite. Il primo, L’arte dell’incontro edito da Marcianum, è di Lorenzo Botrugno, che anche grazie a documenti consultati presso gli archivi della Santa Sede, confermando un ritratto ben noto e fondato sulla sollecitudine pastorale, prova ad approfondire il rapporto tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, nonché il ruolo di Roncalli nelle vicende legate alla casa reale bulgara : in particolare nell’affaire del matrimonio tra re Boris III e la principessa Giovanna di Savoia, con le promesse – tradite – di battezzare ed educare cattolicamente la prole e di non reiterare lo sposalizio nella Chiesa ortodossa (e qui l’autore fatica ad accettare la tesi, condivisa da altri storici, del “perseguimento di una politica dinastica” da parte della Santa Sede). Il secondo volume, curato dal passionista Paolo Cortesi, è invece costituito da un corposo epistolario bulgaro che raccoglie le lettere scambiate dal futuro Giovanni XXIII soprattutto con don Karl Raev e il vescovo Damiam Theelen, missive che sono già specchio di una concezione della diplomazia ecclesiastica vissuta nel segno di una grande paternità e spiritualità. Decisamente curioso il titolo di questa corrispondenza edita dalla San Paolo: Il lupo, l’orso, l’agnello. Dove il primo è Raev, il secondo Theelen, e l’agnello è appunto Roncalli. Microstoria nella grande storia è il conflitto tra Theelen, passionista olandese, vescovo di Nicopoli ad Istrum (nel Nord della Bulgaria) e don Raev, scrittore e insegnante più volte sospeso dal sacerdozio e poi riabilitato, che, acceso nazionalista, s’era scatenato contro i missionari stranieri: un conflitto che vide interventi del pacificatore Roncalli, timoroso di avvilire i suoi interlocutori nell’esercizio della correzione fraterna. Sullo sfondo di tutte e due le opere l’orizzonte ufficiale unionista, ma anche la sensibilità del prelato bergamasco, che chiama gli ortodossi «fratelli avversari»: avversari dunque, ma prima “fratelli”. Un Roncalli, quindi, che coinvolge monaci antesignani del movimento ecumenico, che attende risposte da Roma sempre in ritardo, che non lesina mai sforzi di mediazione ispirandosi non a pratiche protocollari ma alla semplicità del Vangelo. Quel Vangelo del quale gli capita di diventare pagina, quando ad esempio afferma, scrivendo a una benedettina, a metà della sua missione: «In questo mio ministero ho dovuto e debbo sopportare prove terribili. Spesso sento la mia povera anima come naufraga nel mistero della Agonia di Gesù nell’orto degli Ulivi [...]. Il calice dell’amarezza bisogna berlo tutto sino in fondo» .
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