martedì 27 novembre 2012
La primavera araba e l'Europa: il ministro Riccardi parla all'Università Al-Azhar ​
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L'Italia considera l’Egitto come «un Paese più che prioritario, sul quale investiamo molto da un punto di vista politico ed economico, convinti della necessità di avere relazioni nuove. Non solo commerciali e di convenienza, ma di convivenza, quindi culturali e religiose». Lo ha detto il ministro Andrea Riccardi, da ieri al Cairo per una visita di due giorni. In programma colloqui con le autorità politiche e religiose e un incontro con le Ong italiane. Ieri Riccardi ha tenuto, su invito dell’imam Ahmed al-Tayyeb, una conferenza ad Al-Azhar, la più importante università dell’Islam sunnita, della quale pubblichiamo ampi stralci. Tra gli altri incontri, quello con Teodoro II d’Alessandria, Papa della Chiesa Ortodossa Copta. Al-Tayyeb ha ringraziato Riccardi, «uomo del dialogo, che è stato di grande aiuto per l’Egitto in un momento di particolare difficoltà».

 

Il credente sa bene che i tempi e la storia non sono un puro caso. Il Salmo 29, uno dei più antichi, parla della voce di Dio che riempie il creato. Quel che avviene nel creato e nella storia è segnato dalla presenza di Dio. Un grande credente, Giovanni Paolo II, morto nel 2005, dopo un lungo ministero che ha cambiato il mondo, diceva a chi gli ricordava le difficoltà e le resistenze della storia: «Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede… È dunque possibile cambiare il corso degli eventi…». Era convinto che la storia fosse piena di sorprese. Lo abbiamo constatato anche recentemente. Molto infatti è cambiato sulle rive del Mediterraneo. Mi limito agli ultimi decenni. C’è stata un’accelerazione della storia: il 1989 con la fine dei regimi comunisti, ma anche con la scomparsa quasi totale dell’attrazione politica del marxismo, radicato in Europa e nel mondo arabo. Non è un evento da poco, avvenuto quasi senza violenza, nel cuore dell’Europa. Questo ha significato la riunificazione dell’Europa ormai totalmente democratica. Mai l’Europa, nella sua storia, è stata così profondamente e totalmente democratica, come lo è oggi. È un fatto nuovo, che si riflette nell’Unione Europea. Gli anni a seguire, quelli della globalizzazione dopo il 1989, sembravano destinati alla costruzione di una grande pace. C’è stato poi l’11 settembre con i terribili attentati agli Stati Uniti d’America e la sfida globale del terrorismo. Il che ha determinato un clima acceso, quasi di scontro, in cui si voleva contrapporre Occidente e mondo islamico. Sono risorti antichi fantasmi che hanno prosperato sul terreno dell’ignoranza e della paura. Il mondo era destinato alle guerre tra religioni e civiltà? Molti lo hanno creduto. Debbo dire convintamente che io non sono stato tra questi. Infine, proprio a dieci anni dall’11 settembre 2011, sono avvenute le cosiddette primavere arabe. Hanno determinato prima di tutto la fine della paura verso il potere dittatoriale, ma soprattutto una nuova stagione democratica per tanti Paesi. La sorpresa più grande è stato uno scuotimento profondo della società araba. Le giovani generazioni della sponda Sud del Mediterraneo hanno dimostrato di essere più forti di ogni umiliazione, di ogni "blocco", di ogni paura. La fine della rassegnazione, la domanda di libertà e democrazia, sono stati i fili conduttori del risveglio arabo. L’orizzonte sul quale si sono mossi i dimostranti di piazza Al Tahrir e di tante altre piazze è stato la speranza e il futuro. Come ha avuto modo di testimoniare un religioso islamico, ad Al Tahrir «c’erano tutti, cristiani e musulmani, donne e uomini, che si rispettavano e si aiutavano a vicenda. Tutti vivevano… la tensione a ritrovare la propria patria, a riunirsi ad essa, dopo una lunga separazione, dopo che la prepotenza e la violenza di anni ne avevano sfigurato l’immagine». La società egiziana, che è plurale, si è espressa in modo rinnovato. Sono molto contento che oggi ci sia un Egitto democratico, forte non solo del prestigio della sua storia millenaria e del suo posto tra le nazioni, ma anche del prestigio della libertà. La storia è corsa davvero veloce in Egitto, in Europa e nei Paesi mediterranei. La storia si è rimessa in movimento. C’è una stagione nuova sulle rive del nostro mare. Oggi ci accorgiamo che il Mediterraneo, se così posso dire, è divenuto un mare tutto democratico. Non è poco. Oggi la democrazia si sviluppa nei Paesi mediterranei e ne informa la vita politica e sociale. Ma abbiamo una chance in più rispetto al passato: il nostro Mediterraneo è divenuto una comunità democratica. Le storie delle nostre democrazia sono differenti.Proprio lo scorso anno, nel 2011, nelle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, quindi della sua nascita come Stato unitario e sovrano, abbiamo potuto ripercorrere la nostra storia, quella di una democrazia che si allargava progressivamente, ma anche quella delle sue crisi: il fascismo e la seconda guerra mondiale. La nostra Italia ha trovato la sua stabilità dal 1948 con la sua bella e lungimirante Costituzione democratica e repubblicana, che ha compiuto quasi sessantacinque anni. L’Italia della democrazia è stata la stagione della più grande crescita dell’economia e della società italiana, in cui il benessere e la sicurezza sociale si sono diffusi alla stragrande maggioranza dei cittadini. In Egitto la storia è tutt’altra. Ma in nessun Paese la democrazia è qualcosa che viene da fuori, imposto. La democrazia matura nelle profondità della società. Perché, anche durante i regimi dittatoriali, ci sono aspetti democratici e liberi nella vita sociale, nella cultura, nei rapporti con le altre comunità e religioni. L’Egitto ha una storia di tolleranza. Ma oggi questi aspetti della vita sociale e della storia sono maturati e realizzati in un regime pienamente democratico con istituzioni parlamentari ed elettive. Questa democrazia è nuova ma, d’altra parte, ha radici antiche. In particolare si nota in Egitto e nel mondo arabo un forte rapporto tra la politica democratica e l’islam. Per una certa cultura, le religioni con la loro verità rivelata sarebbero un limite all’esercizio della democrazia, perché ne comprimerebbero il pluralismo e la libertà d’opinione. Ma questa interpretazione non è suffragata dalla storia. Infatti l’ispirazione religiosa non indebolisce la democrazia, ma può animarla e sostenerla. Non nega la differenza di opinioni e la libertà altrui. Per secoli tra il Nord e il Sud del Mediterraneo, è mancata una visione comune. L’ho ricordato all’inizio del mio intervento. La nostra visione reciproca si interrompeva sul mare, non era in grado di andare al di là, di cogliere i tratti dell’uomo che viveva, soffriva, lavorava, dall’altra parte, sull’altra riva. Oggi le nostre relazioni non possono essere solo commerciali. Hanno bisogno di una visione umanistica che sappia guardare lontano, abbracciare il proprio Paese, ma anche sapersi rivolgere a tutto il mondo mediterraneo. Si tratta di far crescere una visione matura del destino comune. Una visione comune non significa essere tutti uguali. Una grande antropologa francese, che aveva conosciuto per il suo amore per la libertà il lager nazista, affermava: «Tutti differenti, tutti parenti».In un mondo come questo, bisogna contrastare l’ignoranza e battere la paura che fa diventare aggressivi. C’è bisogno di più cultura, di maggiore conoscenza dell’altro, di più fede, di più dialogo. Ecco il senso di una grande visione, comunicata e partecipata dalla gente. Parlo di questo in un luogo alto come l’Università di Al Azhar che, anche in tempi difficili, è stata sempre un faro di religione e di cultura. Anzi qui, ad Al Azhar, si è sempre creduto che la pratica e lo studio della fede producessero cultura. Al Azhar, nei secoli, non solo ha conservato la fede, ma ha anche mantenuto viva la cultura con l’umanesimo. Oggi le religioni e le culture, nell’età delle tecnologie, hanno un compito grande: non possono restare chiuse nelle biblioteche degli eruditi, ma debbono comunicare la loro visione alla gente e ai giovani. Per l’Italia, per l’Egitto, per il Paesi mediterranei, dobbiamo coltivare una grande, profonda e articolata visione mediterranea. Non accontentiamoci solo dei risultati del presente e del passato. Non accontentiamoci solo di risultati economici. Lo spazio attorno al mare che è "in mezzo alle terre" (questo vuol dire Mediterraneo), è la più straordinaria stratificazione di vicende e di diversità che la storia ricordi. E tale può essere, pur non dimenticando che altrettante volte i popoli delle due rive sono stati tentati dallo scontro o si sono sprofondati nell’ignoranza. Ma oggi la storia è cambiata qui e in tante parti del mondo. E la storia passata non ritorna. Dall’Ottocento al cuore del Novecento, la storia europea è stata dominata dal conflitto tra tedeschi e francesi. Quei popoli si sono odiati e combattuti con milioni di morti. Ma oggi dopo solo sessant’anni, chi potrebbe dire che quella storia ritorna? C’è una nuova storia da scrivere. L’islam non più solo religione della riva Sud del Mediterraneo, come il cristianesimo non è mai stata la religione della riva Nord. In Egitto vive una folta e antica comunità cristiana. In Europa vivono comunità musulmane. I Paesi mediterranei sono cambiati e cambieranno. Ma bisogna costruire una visione mediterranea solida e articolata, capace di comprendere le relazioni economiche, politiche, culturali e religiose. Una vera civiltà, che non si impone agli altri, ma si compone: la civiltà del convivere tra tanti universi, culturali, politici, religiosi.

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