lunedì 6 febbraio 2012
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​Dalle parti dove sono nato, in Alsazia, c’è chi sostiene che i tedeschi si possano dividere in due categorie: quelli buoni, insediati sulla riva sinistra del Reno, influenzati dai Romani antichi e come tali capaci anche di dipingere (i Linksrheiner) e quelli pericolosi che stanno dall’altro lato del fiume fino al confine con le steppe (i Rechtsrheiner). Queste categorie di sinistra e destra del fiume sono ovviamente geografiche e non politiche, ma forse storiche in quanto gli alsaziani si ricordano ancora d’essere diventati prussiani contro voglia dopo la disfatta di Napoleone III a Sedan nel 1870. La storia ovviamente non si può ridurre ad una barzelletta ma le barzellette aiutano a capire la storia…Quest’anno a Berlino e in tutta la Germania si celebra il genetliaco del Grande Fritz, Federico II Hohenzollern (1712-1786), il re di gracile statura fisica e di formidabile dimensione politica che fece della Prussia una potenza in grado di far tremare l’Europa. Quando morì nelle prime ore del 17 agosto, molti berlinesi accesero candele di sollievo per la scomparsa dell’<+NA_TesOFCors>alter Ekel<+NA_TesOFband>, il "vecchio schifoso". L’opinione che i suoi sudditi, ormai potenti, militarizzati e poveri, avevano di lui non era particolarmente brillante. Eppure Hegel, che allora era un fanciullo, plasmò su di lui la sua teoria dello Stato come «sostanza etica consapevole di sé, riunione del principio della famiglia e della società civile» dove appunto lo Stato è «Dio che si fa realtà», il che giustifica l’assolutismo e la guerra come applicazione delle linee ideali del destino. Roba piuttosto dura per i nostri sentimenti contemporanei e che fa venire in mente in modo sinistro le conseguenze terribili avvenute nel XX secolo.La sua vita era iniziata in modo assai curioso. Fino all’età di sei anni si trovò a vivere solo con le sorelle e parlava esclusivamente francese. Anzi, per tutta la vita successiva considerò la lingua tedesca più adatta ai cavalli che agli esseri umani. Certo è che con quel padre che si ritrovò non fu facile crescere.  Federico Guglielmo I, detto "il re soldato", quello che chiedeva ai suoi ministri «né consigli né ragionamenti ma solo ubbidienza», mise poi in riga il fanciullo con una formazione dove tutto era regolato, anche i sette minuti della prima colazione. E’ ovvio che la ribellione fu automatica e fu inizialmente letteraria, con una passione per i libri che faceva inorridire il padre. E amicizie che per la Prussia luterana apparivano totalmente equivoche. Il giovanotto preferisce il suono dolce del flauto traverso che pratica con abilità al tuono dei fucili e dei cannoni. Decide a diciott’anni di scappare in Francia e in Inghilterra e viene immediatamente fermato. Il suo amico del cuore e compagno d’avventura, il tenente Katte, viene condannato alla prigione a vita per diserzione. Ma il re considera la condanna troppo debole e verga di propria mano la condanna alla decapitazione alla quale il figlio è costretto ad assistere. Anzi, inizialmente reputa che anche Federico meriti la stessa sorte e la folle idea viene fermata solo dall’intervento dell’Imperatore Carlo VI. L’unica ragazza che frequentavano viene rinchiusa in un manicomio. Sicché Federico, ormai domato, è pronto ad un matrimonio che non verrà forse mai consumato con Elisabetta di Braunschweig. Si ritira in castelli lontani da Berlino dove vengono organizzati balletti, messe i scena le opere di Händel e dove soprattutto si studia filosofia e si scambiano lettere con Voltaire.
 
Quando sale al trono nel 1740, Federico II sarebbe in teoria un perfetto assolutista illuminato. E nella realtà dei fatti così sembra: abolisce la tortura, fa nascere il primo giornale senza censura (ad eccezione ovviamente delle questioni di Stato), sviluppa la scolarizzazione, sposa la causa della fisiocrazia e la conseguente evoluzione delle pratiche agricole. A lui si deve l’introduzione della patata, quella che il prigioniero francese successivo Parmentier porterà in Francia. Il tubero ha una duplice utilità: elimina il rischio delle perenni carestie e consente la distillazione d’un alcol primordiale per i soldati. Federico plasma il suo popolo come era stato lui stesso plasmato dal proprio padre. Il servizio militare di sette anni diventa obbligatorio e lui è pronto alla guerra, che condurrà costantemente con successo allargando i territori della Prussia alla Slesia. La Guerra dei sette anni lascerà sul terreno una quantità di morti mai visti fino ad allora. Lui stesso si batte contro quelle che chiama «le tre prostitute», cioè Maria Teresa d’Austria, Caterina II di Russia e Madame Pompadour, che gestisce nei fatti la politica di Luigi XV di Francia. Vi è un dettaglio lugubre che mi capitò anni fa di scorgere nella sua carrozza conservata, assieme al flauto, a Potsdam: una piccola cassetta che conteneva un veleno per il suicidio in caso di cattura. Roba che a Berlino avrà un epigono orribile. Eppure lui invita per vari anni Voltaire e lo rinvia dicendo che il limone una volta spremuto va gettato. Eppure per lui Giovanni  Sebastiano Bach compone l’Offerta Musicale. Eppure lui scrive un francese eccellente e poetico. Eppure lui inventerà la reggia dolce e raffinata di Sans Soucis a Potsdam. Eppure lui diventerà il mito bonario della Germania di Bismarck cent’anni dopo la sua morte. Perché in lui si sviluppa il virus della questione tedesca moderna, nel bene e nel male.
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