lunedì 31 ottobre 2011
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Tutti ci domandiamo, appena la coscienza si accende in noi: dove va chi muore? Dove vanno i morti? Ogni civiltà cerca la risposta, fin dai tempi più antichi. Si fanno guerre, si compiono eccidi, genocidi, olocausti, si sono eretti roghi, patiboli, contro chi non la pensava e non la pensa come noi a questo proposito. Il terribile muro tra vivi e morti, il muro invalicabile, diventa anche il muro tra vivi e vivi. I morti, i vincoli che ci legano a essi ci accompagnano per tutta la vita. Appaiono nei nostri sogni, nei nostri pensieri, nelle nostre angosce e nella nostra memoria. In molti luoghi della terra abitata si conservano i loro resti, le ossa, i denti, i capelli. In molti luoghi tutto questo si brucia, si lascia divorare dalle bestie, liquefare sotto il cielo. Gran parte delle civiltà del mondo occidentale conserva i corpi dei morti. I morti convivono con noi. A loro è riservato uno spazio speciale nelle nostre città: i cimiteri. Le città dei morti. Alcune sono mete di pellegrinaggi, altre sono note per la bellezza dei monumenti eretti all’interno, altre per i verdi prati, per i viali lungo i quali svettano cipressi, ippocastani, alberi d’altro tipo o corrono siepi. I vivi convivono con i morti. Anche dentro il proprio corpo, nel proprio assetto genetico. Si inviano ultimamente anche nello spazio. Ai morti ci rivolgiamo per aiuto nei momenti di necessità o di disperazione, o con la preghiera di far esaudire desideri particolari. E, nelle leggende e nei miti, dalle loro file facciamo sorgere esseri artificiali, come il Golem, la statua di argilla, che un rabbino di Praga, il rabbino Loewe, nel Cinquecento, avrebbe destato a vita inserendo nella fronte la parola emet, “verità”.Una delle “città dei morti”, uno dei cimiteri più famosi del mondo è proprio il Cimitero ebraico vecchio di Praga, lo Stary Zidovski Hrbitov. Rispetto ad altri cimiteri non è vecchissimo, in realtà. È lì dove sta, vicino alla Sinagoga vecchia nuova, a Praga, da appena cinquecento anni. I morti che ci “abitano”, sono più di centomila. In certi punti le tombe sovrapposte verso la profondità sono a nove piani. Gli ebrei non celebrano i morti lo stesso giorno in cui lo fanno i cristiani, il 2 novembre. Eppure per chi conosce quel posto, durante il giorno dei Morti, il pensiero corre lì. In pochi luoghi come in quel cimitero si sente, nella propria anima, la voce, il coro di chi ci ha preceduti sulla terra ed è poi scomparso. Le vecchie pietre infitte nella terra disordinatamente, l’oscurità del luogo le tristi fronde degli alberi suggeriscono l’idea dell’abbandono, ma anche della caparbia, irresistibile presenza di chi sta lì, e fa tutt’uno con la società dei viventi.Praga è una delle città elette per sede da coloro che danno credito e vivono all’ombra delle cosiddette scienze occulte, coloro che nei secoli passati hanno praticato la magia nera, che vedono tutto l’Universo governato da forze misteriose avvicinabili dagli adepti per mezzo di rituali e cerimonie. Rodolfo II, l’Imperatore austriaco del sacro Romano Impero , dal 1583 al 1612 aveva eletto per sua sede proprio quella città, radunandovi una corte di scienziati, studiosi, maghi, e un gran numero di ciarlatani. Ma anche di artisti italiani come l’Arcimboldo, il pittore di ritratti composti accostando figure di frutti e verdure che formano tratti dai volti umani. Anche il grande astronomo e matematico, Johannes Kepler (in italiano Giovanni Keplero) apparteneva a quella corte. Il Cimitero ebraico vecchio di Praga è sorto in questa atmosfera e ne rappresenta  tuttora lo spirito. Ancora oggi i visitatori infilano nelle fessure della tomba del rabbino Loewe bigliettini contenenti speciali richieste di miracoli o benefici. Ma è questo il mondo dei morti di cui noi custodiamo la memoria? Che la nostra civiltà occidentale venera e rispetta? Un mondo di terrore e di paure? Sinistramente misterioso? Il culto dei morti, fin dalla più remota antichità, in alcune parti del mondo oltre a esprimere affetto e riconoscenza, è volto ad esorcizzare il terrore di fronte al cessare dell’io, alla sparizione, in noi, da noi, della coscienza di esistere, di fronte alla morte. Molte religioni della terra sono basate su questi culti, sulla ferma, sincera devota credenza in una continuazione della vita dopo la morte, e anche nella possibilità, anzi, la costrizione di tornare a soffrire sulla terra, per correggerci, fino alla perfezione che ci concede di estinguerci finalmente e riunirci all’Infinito Spirito Universale. Anche l’ebraismo ammette la metempsicosi.Oltre al Cimitero ebraico vecchio di Praga, ne esiste anche uno nuovo, la cui fondazione risale a tempi molto più recenti: si trova appena fuori città, oltre un’ampia fermata della metropolitana. In quel cimitero è seppellito uno degli scrittori più geniali mai esistiti, Franz Kafka, dagli ebrei di Praga considerato un grande saggio. Anche questo immenso personaggio è come se appartenesse alle ombre del vecchio cimitero, ne ripete le leggende, i miti. La sua tomba è semplice. Anche i suoi familiari sono seppelliti lì. Le tre sorelle di lui, Elli, Walli e Ottla hanno invece un loro cippo commemorativo poco lontano dalle tombe. Le tre donne sono state uccise tutte e tre dai nazisti tedeschi. Purtroppo quel vecchio cimitero, che ora dà anche il titolo all’ultimo romanzo di Umberto Eco, non è simbolo soltanto di un’antica e complessa tradizione religiosa, ma anche di un’antica, terribile , plurimillenaria sofferenza, quella del popolo ebraico. Il libro di Eco proietta quel cimitero al centro di intrighi e odii internazionali, giocandoci con abilità, sul filo del rasoio, ma quella sofferenza, quella discriminazione maledetta e malvagia, rivolta anche verso altri gruppi umani, come i rom, non è ancora terminata. Si ridesta di tanto in tanto nel cuore del nostro continente che oltre a questi sentimenti e moti dell’animo ha dato pure inizio a due terribili massacri, i peggiori di tutti i tempi: le due guerre mondiali. Quella mesta, misteriosa città dei morti che si trova a Praga stringe il cuore. Poco lontano, sul Ponte Carlo c’è un crocefisso al cui basamento c’è l’antica scritta messa lì per avvertirci che quel crocefisso è stato eretto con il Judengeld, con il “denaro giudeo”, cioè di gente che paga la tassa per essere nata. Per essere nata in un determinato popolo. Ma così almeno siamo avvertiti del veleno mortale che può rappresentare il denaro, al posto di funzionare come semplice e pacifico mezzo di scambio tra gli esseri umani.
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