venerdì 31 maggio 2013
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Nessun documento prova che il Vaticano sapesse in anticipo della razzia degli ebrei romani in quel tragico "sabato nero" del 16 ottobre ’43, né conferma alcun negoziato fra Pio XII e i tedeschi per garantire la neutralità vaticana e la propria sicurezza personale in cambio di silenzio su quella deportazione. Né ci sono carte a provare che la conoscessero prima gli stessi von Weizsäcker o Wolff, unica ragione per ipotizzare che ne avessero informato il pontefice... E, sostiene Matteo Luigi Napolitano, si potrebbe continuare...
Dopo la pubblicazione del saggio di Sergio Minerbi "Pio XII e il 16 ottobre 1943", su "Nuova Storia Contemporanea", la stessa rivista accoglie una puntuta replica di Napolitano allo storico, che accusa papa Pacelli di non aver «adempiuto al suo ruolo di leader morale per milioni di credenti». Scandagliando l’intera vicenda nel contesto del tempo, con la Santa Sede impegnata ad affrontare gli esiti dell’armistizio italiano, senza trascurare le tante tessere del complesso mosaico (comprese le testimonianze sul fallimento del presunto piano per rapire Pacelli o l’aiuto offerto dalla comunità cattolica alla richiesta dei cinquanta chili di oro avanzata da Kappler, sul ruolo del rabbino Eugenio Zolli o quello di dirigenti della comunità ebraica come Ugo Foà o Dante Almansi, ecc.), Napolitano prova a smontare le «molte (troppe) parti» costellate di «ipotesi assertive» del saggio di Minerbi. E non è difficile seguirlo specie quando sottolinea - nello studioso ex diplomatico - una maggior fiducia nelle tardive memorie di Karl Adolf Eichmann piuttosto che nei diari dei conventi che ospitarono ebrei laddove si citano ordini verbali impartiti da Pio XII.
Minerbi insiste sulla mancanza di prove scritte e tuttavia come credere che Pio XII nulla sapesse degli ebrei nascosti nella sua villa di Castel Gandolfo nel momento di maggior pericolo? Inoltre tutto da interpretare resta il "silenzio" di von Weizsäcker con Berlino sulla vicenda, anche nel quadro della sua politica di appeasement nei confronti del Vaticano dove, secondo documenti britannici citati da Napolitano, il papa si mosse «non appena seppe della razzia degli ebrei in Roma» e non mancò la «protesta» del Segretario di Stato. Proprio lui, il cardinal Maglione, a ribadire in un eloquente verbale (citato dallo stesso Minerbi, ma non nelle righe che qui riportiamo) che la Santa Sede non doveva «essere messa nella necessità di protestare: qualora la Santa Sede fosse obbligata a farlo, si affiderebbe, per le conseguenze, alla Divina Provvidenza». Come a ribadire che non si trattava di biechi tornaconti, ma di evitare il peggio.
Certo, non possiamo immaginare cosa sarebbe successo se Pio XII avesse chiesto di occupare i binari che dalla Tiburtina portavano ad Auschwitz, ma dai tempi del Vicario di Rolf Hochhuth molto altro si è venuto a sapere. E lo stesso Minerbi, pronto a ripuntare il dito su un Pio XII da lui ritenuto troppo diplomatico, a conclusione del suo saggio ci ricorda di essersi salvato rifugiandosi in un collegio - quello di San Leone Magno - accoltovi dal preside, don Alessandro Di Pietro, insieme a venti ragazzi ebrei e a una dozzina di antifascisti italiani. Nemmeno questo però ai suoi occhi risolve la querelle che continua a dividere gli storici.​
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