mercoledì 6 gennaio 2016
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Policentrico: questo è il futuro delle periferie. Ripensate, riviste, ricostruite da chi le abita, ma sulla base di una collaborazione intessuta di scambi internazionali. Come quelli avvenuti a Motola, città in rapida crescita vicina a Maputo, la capitale del Mozambico, dove nella primavera scorsa si è svolto un incontro tra gli esponenti di quindici cittadine di cui sei brasiliane e nove locali: per far tesoro delle esperienze altrui, scambiare informazioni, ridisegnare e gestire centri urbani sostenibili. Partendo da fatti concreti, per piccoli che siano. Perché Piccolo è bello: e il titolo-slogan del volume pubblicato da Ernst Friedrich Schumacher nel 1973 è stato riproposto da papa Francesco nel suo intervento al terzo Forum mondiale per lo Sviluppo economico locale tenuto a Torino nell’ottobre 2015. «Abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile, libertà religiosa: l’unico modo di ottenere questi obiettivi è lavorare a livello locale», ha detto il Papa, specificando che il piccolo è non solo bello ma anche «efficace». Gli incontri di Mozambico e di Torino sono due episodi di una vasta trama che si dipana sullo scenario mondiale.«L’Europa promuove molte iniziative a livello internazionale – riferisce la parlamentare europea Mercedes Bresso, già presidente della Federazione mondiale Città unite –. Ma l’attuazione di passi concreti è nelle mani delle amministrazioni locali, che vanno sensibilizzate e messe nelle condizioni di operare al meglio. Per questo nulla è più utile degli scambi di idee e della trasmissione di esperienze, per esempio tramite gemellaggi tra città o con l’individuazione ogni anno di una “Capitale europea della cultura” o di una “Capitale verde d’Europa”, che forniscono esempi da imitare». Per il 2016 come Capitale verde è stata scelta Lubiana, perché nell’ultimo decennio ha aperto cinque nuovi parchi urbani, piantato duemila nuovi alberi, rivitalizzato le rive del fiume che l’attraversa, drasticamente ridotto il traffico automobilistico a favore di ciclisti e pedoni. Non sono azioni di difficile concezione, ma il problema consiste nel trovare i modi migliori per attuarle in ciascun luogo, esaltando di questo le qualità, a volte nascoste.Allo scopo, nell’incontro in Mozambico sono stati coinvolti organismi internazionali come Architetti senza frontiere, gruppo di progettisti costituito alla fine degli anni Settanta per fornire supporto tecnico per opere misurate sulle potenzialità locali. Recentemente la sezione italiana di questo organismo ha operato in Burkina Faso con tre associazioni di artisti locali per costruire un centro per l’educazione all’arte. Architetti senza frontiere ha fornito il progetto per compiere l’opera nella periferia di Bobo-Dioulasso, usando tecnologie e materiali locali. Ed è nato un complesso modulare, articolato attorno a diversi cortili che consentono flessibilità nell’uso di una costruzione che si compie in fasi successive, man mano che si raccolgono i fondi necessari. Progetti di questo tipo costano poco, generano lavoro, danno ordine alla crescita degli ambienti urbani.Molte associazioni in tutto il mondo si muovono in questa direzione. Gruppi di architetti giovani e di amministratori pubblici che costituiscono reti locali e globali. «È straordinario constatare come, per quanto siano lontane, città europee, dell’America Latina o dell’Africa presentano problemi e propongono soluzioni tra loro simili»: il tema è caro a Silvana Accossato, già sindaca di Collegno, ora presidente del Comitato italiano Città unite che da decenni promuove gemellaggi che avvicina città lontane. La Accossato nota che il «bilancio partecipativo» è uno dei frutti generati da questi scambi: «Le amministrazioni locali destinano fondi per iniziative decise da assemblee di quartiere. Così si stimola la partecipazione attiva dei cittadini, i quali di solito scelgono interventi per abbellire spazi pubblici con giardini o per favorire la mobilità sostenibile». Tali iniziative sono favorite dal diffondersi della fiscalità locale, che cresce col decentramento amministrativo, così che il prelievo fiscale sia collegato a investimenti per migliorare il territorio e i servizi che vi si offrono.«In Italia la sfida del futuro – spiega la Accossato – riguarda la continuità urbana nelle città metropolitane, tra capoluoghi quali Torino, Milano, Bologna, Napoli e le cittadine della cintura. Spesso la qualità di vita e dei servizi in queste ultime è maggiore di quella delle vicine periferie del capoluogo. Ma, proprio grazie a tale contiguità, quelle periferie possono rivitalizzarsi e acquisire nuove centralità che donano identità a quartieri che ne sono carenti". Si tratta di rivedere il concetto di periferia, a partire dall’impegno delle persone che vi vivono. «A Torino si lavora con gruppi di giovani immigrati di seconda generazione allo scopo di fornire un supporto al loro desiderio di sentirsi cittadini italiani a tutti gli effetti, mentre allo stesso tempo cercano di mantenere la cultura propria delle famiglie di origine. Solo così si supera il senso di sradicamento e di perdita di identità». E le periferie, da ambienti di emarginazione, divengono occasioni per nuovi radicamenti. Come sostiene Anna Brown, condirettrice della fondazione Rockefeller che ogni anno premia cento città nel mondo capaci di “resilienza”: «Per quanto il termine “urbano” faccia pensare a una condizione statica, dobbiamo rivederlo come espressione di un processo. Le città cambiano in continuazione, sul piano fisico, sociale e politico... sono loro i motori dell’innovazione dei Paesi». E, nelle città, sono le periferie i luoghi più densi di dinamismo.
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