giovedì 15 novembre 2012
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​Tempo fa Piero Gheddo, decano dei missionari-giornalisti, dedicò ad Augusto Gianola, prete del PIME di stanza in Brasile capace di avvincere un cronista di lungo corso come Enzo Biagi, un’appassionante biografia, In missione per cercare Dio. Per padre Aldo Trento, missionario da diversi anni in Paraguay, membro della Fraternità San Carlo Borromeo fondata da monsignor Massimo Camisasca, si potrebbe vergare una biografia dal titolo assonante, In missione per trovare Dio. Perché stato proprio nella terra dei guaranì, immortalati nel celebre film Mission di Roland Joffé, che il sacerdote bellunese ha scoperto e "incocciato" il volto di Dio. Oggi ad Asunciòn padre Trento guida la clinica San Riccardo Pampuri al cui interno si trova il primo hospice di tutto il territorio paraguagio. Alle vicende dei suoi malati padre Trento ha dedicato il suo recente libro Rio sole. Cronache di "santi" dal Paraguay (Ares, pp. 256, euro 15), curato dal giornalista di “Famiglia cristiana” Alfredo Tradigo e impreziosito dalle fotografie di Nino Leto. Padre Trento si trova in Italia in questi giorni per alcuni incontri: domani alle 21 all’auditorium di Casatenovo presenta il suo libro insieme a Camillo Candia, di Gruppo Zurich Italia; giovedì 22 novembre parlerà a Seregno. Padre Trento, nel suo raccontare traspare il dettato evangelico "l’avete fatto a me…"«Negli ultimi otto anni abbiamo accompagnato a morire più di mille persone indigenti e molto ammalate. Accompagnare significa vedere nel paziente non un "malato" ma Cristo stesso. È così chiara per me questa verità che non distinguo più il Cristo che soffre dal Cristo che "domina" la clinica e che è Gesù Eucaristia. Il fatto che nessun paziente muoia disperato e che invece affronti la morte con una fortezza unica costituisce il frutto stesso dell’Eucaristia che incontro nel Cristo che soffre di cancro o di Aids». Lei racconta di come i guaranì le abbiano insegnato a "trattare" la morte. Cosa le hanno trasmesso?«Per loro la vita come la morte fanno parte dell’unico ciclo che è la vita tutta intera. Quando chiedo  ad un ammalato grave  come sta, lui mi risponde "muy bien": e molto spesso è in fin di vita! Una cosa che mi commuove è  vedere, quando celebro la Messa per la persona appena defunta, gli altri ammalati gravi; se appena possono muoversi, assistono alla funzione, coscienti che il giorno dopo potrebbe benissimo toccare a loro morire. La cultura paraguaiana ancora viva nei paesi di campagna guarda al dolore e alla morte come parte integrante della vita. Per questo è bello e sorprendente notare che, mentre portiamo la bara in chiesa, passando di fianco alla pizzeria (dove c’è gente che mangia o bambini che giocano), nessuno si intimorisce. Anzi, tutti si alzano in piedi e i bambini si fermano dai loro giochi e schiamazzi e guardano». Il suo impegno missionario si rifà esplicitamente all’esperienza delle reducciones dei gesuiti dei secoli. Perché? «Come per loro, anche per me l’unica ragione della missione è quella di vivere per annunciare Gesù. La grande opera e ragion d’essere di quegli uomini è stata solo di vivere  "ad maiorem Dei gloriam". Così, umilmente, lo è anche per me. Tutto il resto è la conseguenza di questa passione per Cristo che si esprime poi in passione per l’umanità di ogni persona che incontro. La storia delle reducciones è solo l’evidenza di cosa accade quando uno vive e vibra solo per Gesù; è lui che "ha fatto" e continua a fare, tenendo in piedi quest’opera che vive solo grazie alla Sua Divina Provvidenza. Ieri come oggi, il ricco come il povero hanno solo bisogno di sperimentare la convenienza della fede per la propria vita. Quindi il problema di cui gli antichi gesuiti son testimoni si può riassumere così: "La missione è un Fatto che posso incontrare adesso mentre scrivo: Gesù di Nazareth!". Senza questa certezza che nasce dalla propria carne afferrata da Gesù, diventiamo costruttori di rovine». Nel suo libro si trova una bellissima definizione del cristianesimo: "La vita eterna, fin da ora". Cosa significa questo in un contesto come quello della sua missione?«In Paraguay, in questi ultimi anni, il potere politico è stato occupato e permeato da una corrente della teologia della liberazione, guidata da un vescovo poi diventato presidente della Repubblica. La gente lo ha votato perché lo ha percepito come un nuovo Messia. Ma questo mi fa capire che l’unica cosa urgente è che esistano uomini, donne, pastori innamorati di Gesù. Constato tristemente che per tanti di noi questa coscienza è ancora lontana, con l’esito che in molti hanno abbandonato la Chiesa e sono passati alle sètte. Invece il cristianesimo autentico non nasce né dalla politica né dall’economia, ma solo da Gesù, che nel mio caso ha preso totalmente la mia vita, mi ha fatto Suo, usandomi come uno strumento per mostrare al mondo la sua misericordia, in particolare per quanti vivono abbandonati, soli o sui marciapiedi. La nostra clinica è come un porto di mare dove approda "ciò" che per il mondo è solo spazzatura».
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