mercoledì 10 aprile 2013
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Ma Tommaso Moro credeva davvero alla città di Utopia Come lo fu per Platone con Repubblica il suo non era, piuttosto, un gioco intellettuale? «Sono le domande intorno alle quali si muove la mia lettura critica del testo del grande statista e santo inglese», afferma Pier Paolo Portinaro, ordinario di Filosofia politica a Torino. Lettura che, col titolo "La città di Utopia", si tiene domani alle 16,30 a Torino, nell’ambito della "Biennale democrazia". «In Utopia ci sono vari elementi che fanno ipotizzare un sano scetticismo da parte di Moro. Da una parte c’è ammirazione, dall’altra c’è ironia. Nel momento in cui, poi, fa emergere l’influenza platonica sulle sue argomentazioni mette in evidenza che anche lui non ci crede fino in fondo. Nel disegnare il suo modello di Stato ideale il filosofo greco si accorge di quanto fosse improbabile che i filosofi, in quanto cultori del vero, potessero incontrarsi col "tiranno", per sua natura il peggiore degli uomini. E col rischio che i filosofi diventino ideologi del potere».Intende dire che la vera attualità di Utopia è che non si può realizzare?«Direi che l’attualità sta nella critica delle distorsioni sociali e nell’esigenza di rinnovamento della società. Allo stesso tempo, però, non c’è città di Utopia senza una struttura rigida di potere, che limita le libertà degli individui. Fra ’600 e ’700 risulta evidente anche a Jonathan Swift, che nei suoi Viaggi di Gulliver formula svariate critiche all’idea della società perfetta. Insomma, l’approccio corretto alle utopie è quello del dubbio, che nasce dal fatto che queste società ideali contengono i tratti dei regimi totalitari».Il mondo ideale non può essere libero?«Possiamo dire che gli utopisti, non solo Platone e Moro, ma anche Campanella o Bacone, non credono che le storture del mondo possano essere corrette da riforme graduali. Ritengono che serva un rivolgimento radicale. E per conservare un simile rivolgimento il legislatore stabilisce a priori come devono vivere gli individui, così che il margine di errore nelle relazioni sociali all’interno di queste società sia minimo. Il legislatore ha una sua idea di felicità e pone le regole che servono per sostenerla, ma questo implica che gli individui non sono più liberi di perseguire la loro idea di felicità».Vengono in mente certi movimenti politici che predicano riforme radicali per costruire un mondo nuovo...«l tema è di stretta attualità. Così come lo era nel IV a.C. per Platone, nel ’500 per Moro, nel ’600 per Campanella e Bacone, nell’800 per Saint Simon. Tutti questi autori fanno una lettura critica della società loro contemporanea, ne denunciano le storture sociali, le disuguaglianze. Ed è innegabile che l’attuale globalizzazione stia incrementando storture e disuguaglianze. Gli utopisti come Tommaso Moro partono dalla necessità di curare queste patologie sociali. Utopia è diviso in due parti: la prima è di critica alla società, la seconda è di descrizione della nuova società. E per tutti gli utopisti si comincia con l’abolizione della proprietà privata e di ogni possibilità di accumulo. Poi i beni vengono messi in comune, in alcuni casi anche i figli, le donne, si svuota il concetto stesso di famiglia...».Da cristiano, però, Moro non arriva a questo.«Platone è un pagano pre-cristiano, ma per Moro matrimonio e famiglia sono sacri. Però concepisce un’idea di formazione comunitaria dei figli. E dopo di lui, Campanella, che era un monaco, insiste sulla comunanza dei figli, sul rapporto fra uomini e donne improntato su un modello di agape che pone in secondo piano la relazione affettiva nella coppia: è la società che decide con chi e quando ci si deve sposare, quando si devono avere figli... Questo ci fa comprendere il lato problematico dell’utopia».Tutta l’utopia di questi ultimi secoli sembra però segnata dal modello cristiano.«L'umanesimo era attratto dalla possibilità di fondere l’ideale cristiano di società con un neopaganesimo fondato su sapere e scienza. Ne nascono città ideali che assomiglino un po’ tutte a dei monasteri, secondo l’idea della riforma benedettina, in una sorta di armonia fra vita speculativa e vita attiva. Il paradigma monastico è molto importante per capire l’utopia moderna. Lo stesso Saint Simon teorizza un nuovo cristianesimo che evolve dalla secolarizzazione dei suoi contenuti».Nell’800 nasce anche la fantascienza...«Con Herbert G. Wells e Jules Verne nasce questa particolare utopia della tecnica e della scienza. Fra ’800 e ’900 alle utopie subentrano le "distopie", cioè le utopie negative, con autori capiscuola come Evgenij Ivanovic Zamjatin con Noi, Aldous Huxley con Il mondo nuovo, George Orwell con 1984. Prima di loro, nel ’700 erano nate le "ucronie", descrizioni di mondi al di fuori del tempo. E oggi si parla "atopie", cioè delle società in cui si è perduto il senso del luogo e tutto svanisce nella possibilità del movimento istantaneo».
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