martedì 13 settembre 2016
​Nato nel 1927, Rea ha vinto il premio Viareggio nel '96 con il romanzo autobiografico Mistero napoletano e il Campiello nel '99 con Fuochi fiammanti a un'hora di notte. La sua ultima opera Il caso Piegari nel 2014.
Morto lo scrittore napoletano Ermanno Rea
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È morto nella notte tra lunedì e martedì, nella sua casa di Roma all'età di 89 anni, lo scrittore Ermanno Rea. Legatissimo alla sua Napoli, dove era nato il 28 luglio 1927, aveva lavorato a lungo come giornalista per numerosi quotidiani e settimanali, vivendo per questo prima a Milano e poi a Roma. «Narratore di storie "vere"», si definiva: e – anche grazie al suo lavoro di giornalista – sapeva avvicinarsi alla concretezza di chi parte dal caso specifico umano. Tra i suoi più noti si contano Il Po si racconta. Uomini donne paesi e città di una Padania sconosciuta (1990), L'ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato (1992), Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della Guerra fredda (1995, premio Viareggio), Fuochi fiammanti a un'hora di notte (1998, premio Campiello), La dismissione (2002, che ha ispirato a Gianni Amelio il film La stella che non c'è) e Napoli Ferrovia (2007). Tra i più recenti, La fabbrica dell'obbedienza. Il lato oscuro e complice degli italiani (2011), Io reporter  (2012), La comunista. Due storie napoletane  (2012), Il sorriso di don Giovanni (2014) e Il caso Piegari del 2014, quando Rea – notoriamente schierato a sinistra – si candidò anche alle elezioni europee con la lista di Tsipras. «I romanzi sono inventari di cose perdute», sosteneva: e «fra queste c'è sicuramente la strada – aveva dichiarato in un’intervista ad Avvenire – dove, una volta, nascevano rapporti sociali e umani». Pensava naturalmente, in primo luogo, a uno dei più antichi e popolari quartieri della sua città, il rione Sanità, del quale ricordava soprattutto gli odori, «tutti gli odori. Napoli è insieme profumata e maleodorante; intreccia miseria e nobiltà nelle facciate dei palazzi e nei profumi: ovunque, negli abiti delle persone, un intreccio ininterrotto, che è la sua peculiarità fondamentale. Ma una città, qualunque città, è nei suoi palazzi, nelle sue strade, e anche nei suoi odori». Eppure sul futuro di Napoli non chiudeva la porta alla speranza: «Sulla breve distanza sono pessimista, non credo alle bacchette magiche. Sulla distanza medio-lunga sono ottimista. La specie umana ha superato tragedie immani. Perché Napoli non dovrebbe superare i suoi guai: la camorra, l'illegalità, il malaffare e quant'altro? Io descrivo drammi, sfasci. Ma credo nelle capacità degli uomini di vincere le battaglie: la mia fiducia nella resurrezione, una parola che ricorre in tutta la trilogia [Mistero napoletano, La dismissione e Napoli Ferrovia], è assoluta. Napoli ha risorse notevolissime di intelligenza. E ha isole sociali, gruppi anche combattivi. Queste forze troveranno, prima o poi, qualcuno che riuscirà a metterle insieme per sconfiggere la disgregazione, la frustrazione, la rovina. E interrompere il calvario. Non so chi. Né come. Né quando. Ma accadrà». ​
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