venerdì 7 giugno 2013
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​Rimessa a nuovo per ricoprire degnamente il ruolo di Capitale europea della cultura in questo 2013, Marsiglia resta pur sempre una metropoli mediterranea: un luogo in cui il meticciato è un’evidenza della quotidianità più ancora che della storia. Intorno all’elegante e avveniristica Bibliothèque de l’Alcazar le strade tradiscono un’animazione da suq maghrebino, eppure la ricorrenza del Sacro Cuore, solennemente celebrata nella mattinata di oggi, continua a riguardare tutti, senza distinzioni. È il momento centrale del Cortile del Cuore, versione mediterranea - appunto - di quel Cortile dei Gentili le cui attività presero il via sempre in terra francese, a Parigi, nella primavera del 2011. Sullo sfondo, un doppio centenario. Un secolo fa infatti nascevano sia Paul Ricoeur, il filosofo dell’altro in sé, sia Albert Camus, narratore di un’umanità in esilio e, quindi, in continua ricerca. In fondo, il dottor Rieux e l’abate Paneloux - i due personaggi che si fronteggiano nel romanzo La peste - rappresentano già lo spirito del Cortile stesso. A ricordarlo è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nell’intervento che apre i lavori del Parvis du Coeur all’Alcazar. Camus rimane un ateo, d’accordo, ma di un ateismo non nichilista, attonito davanti al silenzio di Dio eppure non disponibile a proclamarne la morte. Resta da capire a che punto siamo adesso, dopo che la modernità sembra aver bruciato dietro di sé tutti i ponti che la legavano alla tradizione. Ci troviamo al capolinea dell’umanesimo? I relatori che si susseguono dopo l’intervento del cardinal Ravasi hanno punti di vista differenti, che portano a una conclusione di ottimismo pessimisticamente ben temperato. O viceversa, forse. L’atto d’accusa più duro viene dal filosofo Jean-François Mattei, per il quale l’opera di destrutturazione messa in atto dal pensiero contemporaneo ha finito per rendere pressoché impossibile la riproposta dell’umanesimo così come l’abbiamo finora conosciuto. «Anche per Camus - spiega - tutto ruota attorno all’opposizione metafisica fra bene e male. Il nostro tempo, però, non tollera più questo principio elementare. Viviamo in un’epoca funestata dal culto della neutralità e non ammettiamo più neppure l’esistenza della distinzione più evidente, quella fra maschile e femminile». Certo, rimane il modello di quanti sono convinti che l’avventura di dare una direzione, un senso alla nostra esistenza sia ancora più importante della definizione della verità stessa, ma esperienze di questo tipo rischiano di estinguersi. «Immaginate un volto disegnato sulla sabbia, in riva al mare - conclude Mattei -. Prima o poi le onde lo cancelleranno, rendendo incomprensibili quei segni».Una difesa di quello che l’umanesimo è chiamato a divenire si legge invece nelle parole di Julia Kristeva, un’intellettuale che, pur dichiarandosi non credente, ha subito partecipato con entusiasmo alle iniziative del Cortile dei Gentili. La sua è una rivendicazione della rivolta, intesa anzitutto come rivoluzione interiore. Si lambisce l’opera di Camus, con un richiamo al celebre «Mi ribello, dunque siamo», ma l’accento si sposta sul riaccendersi della "vita psichica" in ciascuno. Nessun intimismo, come dimostrano gli esempi suggeriti dalla psicoanalista (tra cui il caso della siriana Rafah Nached, che sta cercando di introdurre Freud in un Paese dove è vietato perfino dire "io"…), anche se il quadro complessivo resta poco rassicurante. A farne le spese sono anzitutto gli adolescenti: «La secolarizzazione - denuncia Julia Kristeva - non riconosce il loro diritto fondamentale, che è quello di appassionarsi all’assoluto. Se il bambino è un ricercatore, che vuole conoscere il perché di ogni fenomeno, l’adolescente è di per sé un credente. Negare questa dimensione significa impedire alla personalità di formarsi in modo libero. E questo, per la nostra società, è un male radicale». Nonostante tutto, però, la scrittrice non rinuncia a citare una frase della prediletta Colette: «Rinascere non è mai stato al di sopra delle mie forze». Non sarà Camus, ma come motto non è male.
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