martedì 28 ottobre 2014
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59 anni, Nobel per la Letteratura 2012, Mo Yan è autore di vari best seller internazionali. Fra i suoi principali romanzi, ambientati prevalentemente nella provincia rurale natale dello Shandong e tradotti in Italia da Nottetempo ed Einaudi, si ricordano «Sorgo Rosso», da cui è stato tratto l’omonimo film vincitore nel 1988 dell’Orso d’oro a Berlino, «L’uomo che allevava i gatti» (1997), «Il supplizio del legno di sandalo» (2005), «Le rane» (2009), «La locanda della felicità», da cui nel 2000 è stato tratto un altro film ancora dal regista Zhang Yimou. Mo Yan – il cui vero nome Guan Moye nel dialetto nativo significa «colui che non parla» – non è né un oppositore, né un dissidente del governo di Pechino; grazie alla sua abilità e discrezione, è riuscito però a dar voce al desiderio di libertà e d’indipendenza del mondo rurale cinese senza urtare il regime, ma anche senza concessioni al potere. Nato in una famiglia molto povera, per vent’anni Mo Yan è stato arruolato nell’esercito con vari compiti; ha cominciato a pubblicare nel 1981, ma solo nel 1997 ha potuto lavorare per un giornale, laureandosi nel frattempo in Letteratura. Ha vinto nel 1997 il premio annuale dell’Associazione Scrittori Cinesi e nel 2005 l’italiano Nonino per la letteratura internazionale. Il Nobel gli è stato attribuito per il complesso della sua opera «che con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità.Mo Yan, come giudica gli stravolgimenti vissuti attualmente dal mondo contadino  in Cina, descritto con forza nelle sue opere?«La campagna cinese ha conosciuto profondi sconvolgimenti fin dal lancio delle riforme economiche, trent’anni fa. Sono stato testimone di questi grandi cambiamenti. Negli anni Ottanta e Novanta, la grande sfida della Cina era nutrire la sua popolazione, un’autentica priorità. La protezione dell’ambiente non era per nulla prioritaria all’epoca e, sotto i nostri occhi, le campagne sono state sfigurate, rovinate, inquinate dalla pura ricerca della sola redditività. Oggi il prezzo da pagare per questi errori del passato è elevatissimo».E queste campagne si svuotano di giovani?«L’esodo rurale di massa è un grosso problema. Tutti i giovani lasciano le campagne per raggiungere le grandi città. Le campagne si svuotano. Di conseguenza, l’esplosione della cementificazione urbana esercita una pressione enorme sul mondo agricolo, poiché le superfici di terra coltivabile continuano a diminuire di anno in anno. Occorre allora aumentare il rendimento delle terre che sfuggono all’urbanizzazione e dunque cospargerle di pericolosi pesticidi. È giunta l’ora d’occuparsi prioritariamente di questo problema, dato che la campagna cinese è molto minacciata. Il governo cinese sta realizzando una nuova politica d’urbanizzazione. Siamo ancora in tempo per rimediare a questi problemi, ma tutta la difficoltà nasce dall’applicazione locale delle misure prese da Pechino. Numerosi dirigenti locali puntano sempre su record economici e prestigio politico e non sono sempre in linea con le misure decise dal governo centrale».Allude al problema della corruzione, annosa cancrena della società cinese?«Sì. Per debellare questo spaventoso flagello, il governo ha lanciato nel 2012 una vasta campagna anti-corruzione in tutto il Paese. Pechino vuole colpire i dirigenti locali disonesti che cercano di far fortuna per vanità».Pensa che un giorno la corruzione potrà essere sradicata?«A mio avviso, eliminarla in modo radicale è quasi impossibile. L’avidità resta annidata in profondità nella natura umana, in Cina come all’estero. Questo desiderio di arricchirsi esiste dappertutto. Penso che per lottare contro la corruzione occorrerebbe creare subito un sistema molto rigoroso volto a punire chi approfitta di questa corruzione. L’attuale governo ha cominciato ad incarcerare i colpevoli. Ma a mio parere, non basterà, poiché occorre in fretta limitare il potere di questi maggiorenti politici a tutti i livelli». La pura repressione è forse arrivata al capolinea?«Da lunghissimo tempo, la Cina è stata diretta e governata da un solo uomo. Occorre istituire invece lo Stato di diritto e non solo rinchiudere i corrotti in prigione. Occorrerebbe esercitare il potere diversamente. Ma pur essendo importante, lo Stato di diritto resta un tema delicato in Cina. Del resto, penso che un sistema pluralista di partiti sia impossibile. Il Partito comunista vorrebbe istituire un nuovo sistema di controllo e di sorveglianza interna. Probabilmente, avremo in futuro dei contropoteri migliori: stampa, media, autorità di controllo più autonome. Tutto dipenderà dalla volontà del governo centrale. Se c’è la volontà, ce la faremo. Si osserva già un calo molto forte della corruzione dall’inizio dell’anno».Alcuni hanno criticato l’assegnazione del Nobel della Letteratura a lei, scrittore ex membro dell’Esercito popolare di liberazione e sempre iscritto al Partito comunista cinese. Cosa risponde?«Ho lasciato l’Esercito popolare di liberazione ormai da vent’anni, ma sono sempre membro del Partito comunista cinese a cui ho aderito nel 1979. Un Nobel può essere assegnato benissimo a un membro del Partito comunista. Che dire allora di Pablo Neruda o di Jean-Paul Sartre? La qualità di membro di partito non è riprovevole. Credo che vi sia un enorme pregiudizio, dato che si tratta del Partito comunista cinese. Nell’inconscio collettivo occidentale, un Nobel cinese deve necessariamente essere opposto al Pcc. Vorrei ricordare che ho ricevuto un Nobel per la Letteratura e non per la politica. Non mi occorre essere dissidente per ottenere un Nobel. Penso che i critici, minoritari, non solo non conoscono molto bene la Cina, ma non conoscono affatto le mie opere letterarie. Se avessero letto i miei libri, la penserebbero diversamente. La letteratura deve concentrarsi sulla natura comune dell’uomo. Non basta riflettere e analizzare la lotta di classe».L’assegnazione del Nobel ha profondamente stravolto la sua vita. Trova ancora tempo per scrivere?«Poco. Mi sforzo di liberarmi da tutti i vincoli legati a questo Nobel per scrivere, ma sono più sollecitato che in passato. Non passa giorno senza ricevere inviti da centri culturali, rettori d’università, circoli letterari per dettare conferenze nel mondo intero. In più, ormai i miei movimenti, gesti e parole sono scrutati al microscopio dai media e devo essere molto prudente nelle mie dichiarazioni in pubblico e persino in quelle private, poiché oggi nulla resta confidenziale. Ma si tratta di ciò che qualificherei come cambiamenti "apparenti’, poiché in profondità resto lo stesso. Resto molto sereno rispetto all’assegnazione di questo prestigioso Nobel. Provengo dalla terra e so restare con i piedi per terra. Fin dall’infanzia, osservo gli alberi giganti del mio villaggio, granitici in quanto profondamente radicati al suolo. Come me».
 
 
(per gentile concessione del quotidiano «La croix»; traduzione di Daniele Zappalà)
 
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