mercoledì 20 luglio 2016
Mediterraneo, il mare di tutti
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Moncef Ben Moussa, direttore del Museo del Bardo a Tunisi, è un uomo gentile e sorridente. Parla un ottimo italiano, coltivato in anni di studio alla Scuola di Archeologia della Sapienza, a Roma, e risponde sempre con pacatezza alle domande che gli si rivolgono. Su un solo argomento reagisce d’istinto: «No, non c’è nessuna differenza tra quello che è accaduto la scorsa settimana a Nizza e l’attentato del 18 marzo 2015 al Bardo – afferma con fermezza –. In primo luogo perché nulla cambia da una sponda all’altra del Mediterraneo: è sempre lo stesso mare, lo stesso mondo. Più che altro, però, c’è il fatto che il terrorismo ci minaccia tutti, nel Mediterraneo e altrove. Qui non si tratta di religione o di area politica, qui si tratta di valori umani universali da una parte e di nemici di quei valori e della vita stessa dall’altra».Poche parole che portano subito al cuore del Meeting 2016, di cui Ben Moussa è uno degli ospiti più attesi: «Credo che questa edizione dell’incontro di Rimini abbia luogo in un momento storico in cui l’umanità ha più che mai bisogno di solidarietà per fare fronte a un nemico comune. Il nemico della vita, ossia l’estremismo», aggiunge.Da dove trae alimento l’odio fondamentalista?«Anzitutto dall’ignoranza del passato. Oggi siamo plurali e diversi, questa è nostra ricchezza, ma le nostre radici affondano in un passato che ci accomuna, rendendoci parte di una sola umanità. Da archeologo e da storico ho il privilegio di riconoscere nella diversità tra le culture un retaggio che appartiene all’umanità intera. Questa consapevolezza è più che mai determinante nella costruzione della pace. Solo l’ignoranza della storia, solo la mancata conoscenza di ciò che già ci accomuna impedisce di condividere il presente con l’altro. L’altro è la parte necessaria nella vita di ogni uno di noi. Ogni volta che rafforziamo questa percezione ci allontaniamo dai nemici della vita che, per ignoranza, vedono nell’altro soltanto il nemico. Bombe e missili non bastano per combattere e il terrorismo: educazione e cultura sono armi altrettanto efficienti».Quindi è l’ignoranza che il pericolo da cui dovremmo guardarci?«Nell’ambiente angusto dei fondamentalisti vige la regola per cui se non sei con me, se non la pensi come me, se non abbiamo le stesse convinzioni, allora sei diverso, sei un altro e di conseguenza sei il nemico, perché la verità mi appartiene e tu sei nell’errore. Questa non più ignoranza, è una patologia mentale, un atteggiamento da squilibrati. Non credo che una persona in salute sia capace di arrecare volontariamente danno alla vita dell’altro, solo i fondamentalisti possono arrivare a tanto».Le città, come i musei, sono luoghi  della memoria e della bellezza. Per questo sono tanto bersagliate dal terrorismo?«Nella storia le città sono diventate simbolo di accoglienza: sempre aperte e tolleranti, sono il luogo dell’incontro dove non si impongono limiti culturali, religiosi o politici. Le città promuovono le diversità ed è per questo che sono un bersaglio per i terroristi».L’Europa potrebbe fare di più per il Maghreb? «Sta già facendo molto, ma molto di più potrebbe fare per il Maghreb e per il resto del mondo. Dovrebbe superare il pregiudizio per cui l’alto, in quanto tale, può essere un pericolo, perché è su questa base che sono sempre state edificate barriere e muraglie. Allo stesso tempo, sono persuaso che anche il Maghreb potrebbe fare di più per il mondo e per l’umanità, per esempio riconoscendo maggior valore all’educazione e alla cultura. È l’unico modo per proteggere i giovani, per combattere l’estremismo e partecipare alla costruzione di un futuro di pace. Nel Maghreb, come in altre regioni del mondo, l’ignoranza ha danneggiato generazioni e generazioni, fornendo pretesti all’estremismo, al fondamentalismo, all’intolleranza. Sono le questioni che, insieme con la diffusa povertà derivante da scelte politiche sbagliate, diventano drammaticamente evidenti nel fenomeno dell’emigrazione, al quale l’Europa sta cercando di reagire istituendo uno spazio chiuso. Scelta forse comprensibile, ma perdente dal punto di vista storico. Anziché limitarsi a sostenere alcuni regimi politici o, peggio ancora, insistere nel commercio delle armi, sarebbe stato molto più utile se l’Unione europea avesse sostenuto lo sviluppo nel campo dell’educazione e della cultura. Ma per fare questo occorrevano comprensione reciproca e volontà di costruire un mondo di pace. E la comprensione, a sua volta, è un fatto culturale». Che cosa significa, per lei, essere il custode della tradizione storica e artistica del suo Paese?«Con grande orgoglio posso dire che è la più grande responsabilità che abbia mai avuto in vita mia. Non mi intendo di politica , ma dall’inizio della “Primavera tunisina”, alla fine del 2010, avevo il sogno di fare qualcosa per il mio Paese. Potevo continuare nel mio impegno di docente universitario, che è il mio mestiere da più di vent’anni, ma mi sembrava importante assumere una responsabilità diretta in ambito culturale: farlo dirigendo il nostro museo più importante, il Bardo, mi è parso addirittura eccezionale. Credo che la tradizione storica e artistica sia il tesoro più prezioso di cui possono disporre in questo momento i tunisini, perché è un patrimonio che riguarda il passato, il presente e il futuro. A volte mi trovo in mezzo a difficoltà legate al passato prossimo (al periodo in cui, durante la dittatura, la corruzione distruggeva le ricchezze del Paese) oppure legate alla situazione attuale, con problemi enormi nella gestione della quotidianità. Ci sono giorni in cui sono quasi disperato, ma non mi lascio abbattere. Mi incoraggia vedere un giovane tunisino intento ad ammirare l’effigie di Baal Ammon, il principale dio punico, oppure i mosaici romani, o quelli trovati in una sinagoga del VI secolo, o un battistero di età bizantina. Nella mente di quel ragazzo si sta formando la convinzione che la nostra storia è cominciata molto prima del VII secolo: lui, nelle cui mani sta il domani del Paese, sta capendo che nella nostra cultura condividiamo molto con tanti altri popoli. Ecco, è in queste occasioni che riesco a superare tutte le difficoltà, ritrovando la speranza, la fiducia nel futuro, un motivo valido per lavorare ancora di più. Nessun sacrificio è eccessivo quando si assume l’enorme responsabilità di custodire la tradizione storica e artistica di un Paese come questo. Per la Tunisia non credo di aver fatto ancora abbastanza».
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