venerdì 3 agosto 2012
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​Rigenerare la politica non è partire da un moralismo astratto. Per me, per la tradizione da cui vengo, è riconnettersi alla memoria di chi ha fatto politica nella speranza di cambiare. Infatti troppo forte è stata la cesura con il nostro passato: l’impoverimento della politica è fatto proprio dall’oblio, mentre siamo appiattiti sul presentismo della cronaca. Abbiamo troppo dimenticato.In questo quadro, la memoria di Piersanti Mattarella è stata troppo dimenticata, nonostante siano passati solo trent’anni dalla sua morte. Si colloca in un altro mondo politico, in una Sicilia così particolare, nel confronto con Cosa nostra. Ma non di mafie vorrei parlare, bensì di una politica che si rigeneri partendo dall’esempio. Esempio non è parola retorica o moralistica, ma quella catena di umanità a cui ci si lega, che costituisce un saldo orientamento verso il futuro. La morte di Mattarella mette in rilievo il valore della sua politica e dell’essere politico. Non sarebbe morto in questo modo se non ci fosse stata una radice particolarmente preziosa nel suo essere politico, nascosta nel pudore. Piersanti Mattarella è stato assassinato per la sua politica. La sua morte, cioè, getta luce sulla sua politica, sulla pericolosità della sua politica per la mafia. Sì, sembra che siano passati tanti decenni, ma solo trent’anni. Eppure si avverte, proprio oggi, in questa delicata transizione, in questa crisi economica che non cessa, il bisogno di uomini e di donne saldi come lui. È l’ora che uomini di questo tipo ritornino, ritornino alla politica. Perché questi uomini e queste donne ci sono. Sono ancora aperte le fonti a cui si sono abbeverati.Si vede in Piersanti un coraggio personale che viene dalla fede - stava andando a Messa quando fu ucciso -, ma anche la solidità di una cultura politica e umanistica, giuridica, che lo portava lontano dalle furberie dell’azione e da una concezione privatistica dell’interesse personale. Non si dovrebbero usare toni alti con Mattarella, anche per la discrezione del suo parlare e quella della sua famiglia. Ma il suo è un caso di martirio di un politico. Certo non un martirio come quello di don Pino Puglisi, colpito per la sua attività religiosa e pastorale nel quartiere di Brancaccio. Ma credo che bisogna avere il coraggio di usare questa espressione. Il martire è colui che non abbandona il suo posto, il suo servizio, anche quando dinnanzi a lui si profila la minaccia della morte In questo senso, l’idea di martirio - espressa pudicamente per un uomo come Mattarella - mi ha fatto pensare ad un’altra figura, quella di Pino Puglisi, della cui beatificazione è stata data recente notizia. Siamo, nel caso del prete di Brancaccio, in un altro periodo, ucciso tredici anni dopo, sempre di fronte a Cosa nostra pur in un’altra stagione. Puglisi non è un borghese come Mattarella. Sono però - non lo si dimentichi - due figli del Concilio Vaticano II, l’uno nato nel 1937 e l’altro nel 1935, rinnovatisi alla luce del messaggio conciliare.Puglisi è nato ragazzo di Brancaccio che avrebbe potuto divenire un reclutato dalla mafia. Eppure percorre un’altra strada e ritorna parroco nel suo quartiere. Don Pino, ucciso, quando sorgeva la Seconda Repubblica, mostra che in Sicilia, in Italia, la testimonianza cristiana sia stata sempre una fonte a cui abbeverarsi per vivere una vita umana, al servizio degli altri, in onestà.Stabilire un legame tra Puglisi, il prete, e Mattarella, il politico laico, può sembrare forzato. Li unisce Palermo, la lotta alla mafia, la morte violenta; ma diverse erano le loro azioni, le loro condizioni, la qualità del loro impegno. Puglisi mostra che le sorgenti cristiane, a cui Mattarella stessa con tanti altri si era abbeverato, non si sono mai seccate e non sono secche. Sono sorgenti di umanità. In entrambi, con funzioni diverse, tra Puglisi e Mattarella c’è un terreno cristiano che fa germinare la speranza: si può cambiare il mondo, si può cambiare la Sicilia, si può cambiare un quartiere di Palermo. Mattarella e Puglisi rappresentano due storie diverse, combattono la mafia con strumenti diversi, in quadranti diversi. Ma c’è una forza di speranza nella loro azione, che germina dal terreno cristiano. L’uno è un modello di politico ispirato dalla fede, l’altro è un prete: entrambi manifestano la speranza che il mondo, pur quando sembra impossibile, si può cambiare. Ma per cambiarlo, sembrano partire da sé: da una vita intensa, profonda, dedita, che non pone limiti al servizio, nemmeno quello della salvezza della propria esistenza. Puglisi è morto a cinquantasei anni nel giorno del suo compleanno. Mattarella a quarantaquattro, pagando di persona e indicando - in modi diversi - la via per un mondo nuovo. Restano sorgenti a cui abbeverarsi per chi vuole oggi sperare in un futuro dell’Italia. 
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