sabato 25 ottobre 2014
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«L’origine della vita resta il più grande enigma della biologia moderna». A dirlo è Rafael Vicuña, professore di biologia molecolare all’Università cattolica di Santiago del Cile, voce autorevole della ricerca biologica in America Latina e che interverrà lunedì alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, di cui è membro, in corso in Vaticano. Professore, nei manuali viene però ricordato che già agli inizi degli anni ’50 Stanley Miller e Harold Urey all’Università di Chicago dimostrarono come si sarebbero potuti formare i mattoni delle proteine, gli aminoacidi, a partire da certe condizioni dell’atmosfera.«Quelli di Miller e Urey furono esperimenti significativi, altri ne sono stati fatti e ci sono stati dei progressi in questo campo. Ma si tratta di esperimenti che non toccano il cuore del problema».Che sarebbe?«Diciamo così: oggi conosciamo meglio alcuni aspetti della sintesi dei componenti delle molecole della vita. C’è un’ipotesi che parte appunto da Miller e Urey, che sottoposero una miscela di ammoniaca, metano e idrogeno a una scarica elettrica e videro come si formavano molti degli aminoacidi che formano le proteine. Con esperimenti successivi e perfezionati, anche da parte di altri scienziati, si è mostrato come si possono formare altri aminoacidi e altri componenti importanti. Alcuni di coloro che sostengono che l’atmosfera primitiva non possedeva le condizioni per permettere certe reazioni, optano per l’arrivo sulla terra delle molecole della vita tramite dei meteoriti, era il caso dello spagnolo Joan Oró. Tesi che ha però un punto debole nella capacità di queste molecole di resistere alle altissime temperature che si sviluppano in un meteorite quando attraversa l’atmosfera. Il biochimico tedesco Gunther Wächtershäuser ha avanzato invece l’ipotesi che le molecole della vita si siano formate nelle caldere e nei vulcani sottomarini. Anche lui ha raggiunto risultati importanti, suggestivi. Sarà la ricerca a confermare la solidità di queste tesi e a vagliarne le ricadute. In ogni caso, siamo sempre lontani dal punto chiave, che è questo: come si organizzano queste molecole per formare qualcosa di tanto complesso come una cellula? Siamo ancora molto, molto lontani dal capirlo. Siamo in un terra incognita, di fronte a noi c’è come una barriera che ci impedisce di cogliere il principio di questa auto-organizzazione». Sappiamo almeno dare una definizione di vita?«La risposta dipende dagli scienziati. Per alcuni la vita è semplicemente materia autorganizzata. Altri, tra cui il sottoscritto, pensano che sia qualcosa di ulteriore, per la semplice ragione che non è possibile spiegarla solo a partire dai suoi componenti. Si può avere una macchina molto complessa e spiegarne il funzionamento a partire appunto da quello delle sue parti. Io posso sapere alla perfezione come è composta una cellula, però come funziona in profondità, cosa sia realmente il dinamismo che la muove, ossia la vita, non lo so. La vita lotta e vince contro l’entropia e lo fa autoprocurandosi energia. Un frigorifero, un’automobile sono strutture complesse e funzionanti ma con un’energia immessa dall’esterno. La vita, nella sue essenza profonda, resta qualcosa che ci sfugge».Si può pensare a un salto ontologico tra la materia inanimata e la vita biologica?«Penso di sì, ma qui usciamo dalla scienza ed entriamo nella filosofia. E non bisogna confondere i piani, cosa che purtroppo su questo tema avviene facilmente. Il biologo statunitense Stuart Kaufmann nel suo libro Reinventing the Sacred (Reinventando il sacro), avverte il lettore che la scienza sta iniziando a dimostrare come all’origine della vita non ci sia un creatore, come il meraviglioso potere creativo che possiede la natura cancella la necessità di Dio per spiegarne l’esistenza. Anche qui usciamo dalla scienza per inoltrarci nella filosofia. La necessità di mantenere una distinzione dei vari piani epistemologici sarà uno dei punti centrali del mio intervento alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze». Il tema dell’origine della vita l’ha impegnata a lungo come studioso, su cosa vertono oggi le sue ricerche?«Da circa sei anni sto studiando come si sviluppa la vita in luoghi in cui non c’è acqua. In cui ce n’è giusto un minimo, come umidità ambientale, ma non c’è acqua liquida. Questa è la condizione di alcuni punti del deserto di Atacama in Cile, per esempio, in cui non piove mai. Eppure sotto la sabbia si trovano moltissimi batteri. Sono forme di vita di estremo interesse, anche perché ci possono aiutare a capire se è possibile che la vita si sviluppi su altri pianeti o se sia possibile portarvela».
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