venerdì 12 settembre 2014
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​«Per sapere chi sono, occorre sapere ciò che amo e come lo amo». Per il grande filosofo francese Jean-Luc Marion, è la lezione centrale, quasi sempre mal compresa, che sant’Agostino e soprattutto le Confessioni continuano a rivelare in modo mirabile. L’uscita in Francia di Au lieu de soi, profonda e lunga interpretazione della filosofia agostiniana, ha già suscitato un vivo dibattito intellettuale, tanto le tesi di Marion restituiscono tratti fondamentali del vescovo di Ippona spesso ignorati anche da interpreti novecenteschi dai nomi particolarmente altisonanti, Heidegger compreso. Il saggio, destinato secondo molti a restare una pietra miliare per la comprensione di sant’Agostino, è stato appena tradotto da Jaca Book: Sant’Agostino. In luogo di sé (pp. 418, euro 32). Marion, eletto all’Accademia di Francia al seggio che fu del cardinale Lustiger, occupa pure, all’Università di Chicago, la cattedra che fu di Paul Ricoeur. In Italia, presiede l’Istituto degli studi filosofici Enrico Castelli, presso l’Università la Sapienza di Roma.Professor Marion, sant’Agostino è stato commentato in ogni tempo. Occorreva proporne una nuova lettura?«Da Cartesio fino ad Heidegger, si è cercato troppo d’imporre alle Confessioni un punto di vista metafisico, dopo letture dell’opera spesso incomplete. Sono rimaste ai margini le questioni dello stile, dello statuto e delle intenzioni dell’opera. Occorre dunque ancor oggi ricercare il punto di vista più autentico di sant’Agostino. In proposito, mi è parso chiaro che tutto deve essere compreso a partire dalla nozione di "confessione". Le Confessioni si spiegano attraverso la nostra capacità di addentrarci nell’idea stessa di "confessione"». Come occorre intenderla?«La confessio è al contempo il riconoscimento delle proprie colpe e la confessione di fede, ovvero l’atto fondamentale della conversione. È un punto che, in uno dei suoi primi articoli, fu già sottolineato da Joseph Ratzinger. A partire da questa constatazione, si scopre la ragione per cui sant’Agostino mescola, in un modo che sarà mal giudicato da tanti filosofi posteriori, confessione di fede, preghiera e riflessione teorica. Così compresa, la confessione vuol dire che Dio non è l’oggetto del discorso, ma l’interlocutore del discorso. Le Confessioni non parlano di Dio, ma a Dio. Per questo, le preghiere che aprono e chiudono i capitoli sono sempre citazioni dalla Bibbia. Possiamo parlare a Dio solo perché Dio ci ha già parlato. Si tratta dunque di una risposta. Parliamo a Dio con le parole che Dio ci ha donato. Quest’approccio rappresenta la rivoluzione di sant’Agostino, anche se naturalmente non fu né il primo, né l’ultimo a coglierlo. Ma nessun altro ha saputo strutturarlo in modo così limpido e profondo».  È fra le ragioni che spiegano pure i fallimenti dei tentativi di associare sant’Agostino a una tradizione filosofica specifica?«Direi che è un segno di superiorità. Se si vuole leggere sant’Agostino utilizzando i criteri comuni, si scopre in effetti che non è un vero metafisico, un punto che gli è stato del resto rimproverato dai tomisti, così come non è un teologo nel senso tecnico della Scolastica. In proposito, ci sorprende la sua libertà rispetto alle elaborazioni contemporanee del dogma della Trinità. Direi dunque che si situa in un luogo diverso rispetto a quelli più comuni della teologia e della filosofia, soprattutto moderne. Per questo, ho deciso d’impiegare un’altra chiave di lettura: né la storia dei dogmi, né la storia della teologia, né la storia della filosofia e della metafisica. In effetti, non è un metafisico, perché la questione dell’Essere non è per lui fondamentale, dato che non definisce Dio a partire da questo. Inoltre non offre una teoria dell’Io nel senso cartesiano. Per mille ragioni, occorre invece leggere sant’Agostino a partire da una struttura di chiamata, o appello, e risposta. Ci troviamo in una concezione e fenomenologia del dono, inteso naturalmente anche come amore».Con sant’Agostino, ci allontaniamo dunque da ogni egocentrismo?«È una delle più grandi lezioni che sant’Agostino può darci oggi. Su Dio, ci rivela che non c’è conoscenza di Dio anteriore alla decisione di amare Dio. Secondo un’opposizione cara anche a Pascal, per tutte le cose del mondo, occorre innanzitutto conoscerle se si vuole amarle. Ma occorre innanzitutto amare il divino per conoscerlo. Credo ut intelligam. E questo non significa prendere i propri desideri per realtà».Su questo punto, il Settecento, soprattutto in Francia, è stato molto critico, talora sarcastico...  «Certo. Ma molti di questi critici non si sono accorti di quanto ciò sia radicalmente confermato da ogni esperienza amorosa, anche la più comune. Nell’esperienza amorosa, se non si crede che l’altro può amarci e che noi possiamo amarlo, non cercheremo di conoscerlo. E continueremo a cercare di conoscerlo solo se il nostro amore perdura. Il giorno in cui non si ama più l’altro, non solo non si è più gelosi, ma si smette di conoscerlo, si tende a dimenticarlo. Ciò è fondamentale. Non si tratta affatto di una forma di fanatismo o d’illusione, ma di un modo di manifestazione di determinati fenomeni. Vi sono fenomeni che occorre conoscere per poi approdare all’amore, ovvero generalmente quelli che riguardano l’io in prima persona, come i fenomeni di consumo o di produzione tecnica. L’amore, in questo caso, assomiglia proprio a una forma di consumo. E vi sono poi fenomeni che restano invisibili se non abbiamo prima amato. Dio, certo, ma anche tutta la sfera dei fenomeni erotici. Sant’Agostino spiega ciò in modo perfetto, con una completa chiarezza». Come valutare l’opera di sant’Agostino rispetto agli sbocchi nichilistici di una parte del pensiero moderno?«È più vicino a una situazione di uscita dal nichilismo di quanto si possa immaginare. Si prenda ad esempio il conflitto fra determinismo e libertà, o fra grazia e libero arbitrio. È una contraddizione, fra principio di ragion sufficiente e primato dell’ego, tipicamente metafisica. Per sant’Agostino, invece, la libertà è ciò che Dio solo può darmi, poiché non posso approdarvi altrimenti. Questo ribaltamento di situazione rivela bene la crisi dell’ideologia classica della morte dell’Uomo, nel senso di Nietzsche e poi di Foucault, ovvero il carattere mitico, non reale, dell’autodeterminazione dell’ego. Del resto, persino Sartre non ci credeva». Da più parti, s’invoca oggi la necessità di una valorizzazione del dono, già nella vita civile. La lettura di sant’Agostino può nutrire e arricchire questi bisogni?«È il pensatore essenziale del dono, ma occorre saperlo leggere come tale. Chi ha una concezione debole del dono, com’è spesso il caso oggi, può continuare a leggere sant’Agostino senza giungere al nocciolo. Per questo, sant’Agostino non è alle nostre spalle, ma invece ci sta ancora attendendo».
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