martedì 3 gennaio 2012
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Anche quest’anno, avvicinandosi il Natale, abbiamo atteso il manifestarsi simbolico di un segno, di una stella in cielo, che annunciasse a tutti (all’attuale popolo eletto e ai nuovi magi d’oriente) il rinnovarsi di quella venuta che ha cambiato, duemila anni fa come ora e sempre, la storia dell’Uomo. Quest’anno però i nuovi "magi" hanno visto dei segni, alcuni del tutto inattesi, che se da un lato non possono essere ignorati da chi si sente partecipe del cammino umano verso la conoscenza, dall’altro potrebbero distrarci dall’attesa della stella dell’Epifania. Mi riferisco agli annunci fatti da ricercatori del Cern di Ginevra riguardo ai neutrini che sembrano muoversi a una velocità superiore a quella della luce e alle possibili tracce del bosone di Higgs, elusiva particella elementare la cui ricerca è stato il principale motivo per la costruzione della sofisticata "macchina" chiamata Large Hadron Collider. Il primo risultato, se confermato da ulteriori esperimenti, sconvolgerebbe in maniera sostanziale l’attuale comprensione dei fenomeni che avvengono nello spazio-tempo; il secondo risultato invece consoliderebbe il cosiddetto "modello standard" che i fisici moderni hanno costruito per descrivere il comportamento della materia sub-atomica. A prima vista, non sembrerebbe esserci una possibile connessione tra queste notizie scientifiche e l’Avvento della tradizione cristiana (a meno che non volessimo prendere sul serio la trovata pubblicitaria di soprannominare il bosone di Higgs "particella di Dio"!). Tutt’al più potremmo ritenerci soddisfatti nel constatare che oggi, in piena libertà e senza obsoleti conflitti o indebite invasioni di campo, alcuni di noi possono incamminarsi umilmente con i pastori verso la grotta di Betlemme, mentre altri si impegnano con le loro migliori energie intellettive a sviscerare i nuovi rompicapi che la natura ci presenta. È proprio così? Dobbiamo veramente rassegnarci a questa divisione storica che relega le "particelle elementari" (e la scienza in generale) nel cortile dei gentili, nello spazio pro fanum, inutili e insignificanti per chi entra nel Tempio? Per dare una risposta non banale, è necessario approfondire cosa significhi "conoscere" la realtà sub-atomica con il metodo che la fisica moderna utilizza.Quando circa un secolo fa i fisici cominciarono a indagare la struttura dell’atomo, scoprendo l’elettrone e successivamente i protoni e i neutroni che ne compongono il nucleo, chiamarono queste entità "particelle elementari", immaginando di aver individuato i componenti ultimi e indivisibili della materia. Non solo si sbagliavano sulla loro indivisibilità, ma ben presto si accorsero che le cosiddette "particelle" avevano un comportamento davvero strano: a volte apparivano come "palline" spazialmente localizzabili mentre in altre circostanze si diffondevano nello spazio come un’onda, capace, per esempio, di passare contemporaneamente attraverso due diverse fenditure interposte nel loro tragitto. Da queste e altre evidenze sperimentali del mondo sub-atomico si è sviluppata la fisica quantistica e in tempi più recenti il "modello standard" sopra citato, che attualmente rappresenta la miglior descrizione disponibile della realtà fisica. Il paradosso di questa descrizione è che per predire i possibili risultati di una misura sperimentale (come di fatto riesce a fare con grande precisione) è costretta a "sospendere" la conoscenza del reale tra un esperimento e l’altro. Senza invocare qui lo sfortunato gatto di Schrödinger che, mentre è chiuso in una stanza contenente un marchingegno potenzialmente letale, dev’essere considerato contemporaneamente vivo e morto, finché qualcuno non lo osservi, diremo che siamo in grado di determinare con precisione quando un neutrino parte e quando arriva, ma non ci è dato di sapere "che cosa sia" e come si comporti durante il tragitto. Non è affatto facile, sia per i fisici che per i filosofi, conciliare la sofisticata capacità tecnica di predizione degli eventi con la rinuncia alla conoscenza ontologica. Esiste inoltre il pericolo, per i non esperti, di sorvolare la complessità della questione e assegnare realtà fisica, diremmo sensoriale, a ciò che invece è irriducibile.
Si è molto ironizzato recentemente del tunnel che un improvvido comunicato stampa del Ministero della Ricerca riteneva necessario per incanalare i neutrini tra Ginevra e il Gran Sasso, ma in fondo il maldestro estensore del comunicato è rimasto vittima proprio del tranello che induce a immaginare elettroni, neutrini, bosoni come qualcosa che si può vedere e toccare. Qualcuno potrebbe qui fare spallucce e lasciare questi apparenti tecnicismi agli addetti ai lavori, ma il problema riguarda ognuno di noi perché noi tutti siamo composti di queste elusive "particelle" e pretendiamo di sapere chi siamo, dove siamo e come ci muoviamo. Come conciliare l’inafferrabilità dei nostri costituenti con l’unicità della nostra coscienza esistenziale? Scriveva Albert Einstein, anch’egli perplesso di fronte al dilemma posto dall’emergente fisica quantistica: «Quello che scorgo nella natura è una struttura grandiosa che possiamo capire soltanto per frammenti. Questa struttura deve trasmettere a ogni essere pensante un sentimento di umiltà, un sentimento autentico, religioso, che non ha niente a che fare con il misticismo». Allora forse, pur continuando a indagare la realtà con il metodo scientifico, riducendola tecnicamente in parti, dovremmo ricercare una visione globale complementare, simbolica e olistica, tipica della poesia e dell’arte, che riesca a recuperare per analogia un rapporto più appagante tra l’uomo, la sua evoluzione e la "nuova" Natura, quella della fisica quantistica e della cosmologia del Big-bang.
Nel passato, il «Paradiso» di Dante è stato un esempio sublime di come sia possibile far convergere nell’emozione poetica scienza, filosofia e teologia: bisognerebbe cercare oggi di ricolmare il solco che si è creato tra scienza e umanesimo prima di rimanere succubi di un riduzionismo alienante. Un tale sforzo poetico è stato sperimentato (caso abbastanza unico nel panorama mondiale) dal grande maestro, recentemente scomparso, Andrea Zanzotto che giustamente è stato definito il poeta più dantesco del ’900 italiano. I progressi conoscitivi della scienza, che lo affascinavano, sono sempre presenti nei suoi versi, anche se a una prima lettura dissimulati da un linguaggio apparentemente ermetico e lontano, a volte funzionalmente dialettale. Ma è proprio lo sforzo che il poeta ci impone per dissotterrarli (quasi reperti meta-archeologici) che esorcizza ogni loro pretesa di assolutezza e possibile devianza tecnologica e ci permette di inquadrarli nell’ininterrotto cammino dell’Uomo verso la conoscenza e la sapienza, nel logos erchomenos, la parola diveniente, per usare un’espressione cara al poeta. Mi sembra che questa forma di avvicinamento alla scienza esalti, senza contraddire i singoli risultati e i tecnicismi, l’essenza dell’impresa conoscitiva umana: la possibilità e la sorprendente capacità che ci è data di interpretare razionalmente e simbolicamente la Natura, per quanto complessa e misteriosa essa si presenti. A quel punto sta a noi decidere se una tale meraviglia sia frutto del caso oppure ci riveli un significato più profondo. E allora anche i neutrini e i bosoni di Higgs, sempre presenti nella storia dell’universo, ma solo ora "scoperti" dall’uomo, possono diventare segni epifanici e noi oggi, unendoci idealmente all’intuizione poetica e profetica del salmista, potremmo dire: «Sole e luna, lodate il Signore / lodatelo fulgide stelle ... / lodatelo galassie e cosmo primordiale / lodatelo particelle tutte di Dio»
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