giovedì 6 giugno 2013
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«Beatissimo Padre, mentre si chiude nella giusta luce di verità la mia decennale vicenda, sento il dovere di ringraziarla profondamente». Inizia così la lettera che Giulio Andreotti scrive a Giovanni Paolo II il 30 ottobre 2003, non appena viene informato che la Cassazione l’ha definitivamente assolto dall’infamante accusa di essere stato il mandante dell’omicidio di Mino Pecorelli. Finiva l’incubo peggiore di quegli anni e il primo pensiero, in quel momento, fu ringraziare il Papa: «Non solo per la fiducia che mi ha conservato, ma per le molte manifestazioni, anche pubbliche, di stima». La minuta della lettera, finora inedita, è conservata nell’Archivio Andreotti, all’Istituto Luigi Sturzo a Roma, e fa parte del carteggio tra lo statista e Giovanni Paolo II: uno scambio di lettere costante che parte dal 1978 e attraversa anche gli anni dal 1993 al 2004, quelli delle inchieste e dei processi, a Palermo (per concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso) e a Perugia. Ma la lettera del 30 ottobre 2003 è significativa perché, in poche righe, riassume gli elementi fondamentali che sostennero moralmente Andreotti mentre affrontava la bufera giudiziaria. Aggiunge, infatti, nella lettera: «Debbo a Vostra Santità e a Madre Teresa (che venne nel mio studio e mi disse: "Sarà lunga, ma non abbia preoccupazioni") se ho resistito». A un mese dalla morte dello statista democristiano, avvenuta il 6 maggio scorso (nella Basilica di San Giovanni dei Fiorentini a Roma, si celebra oggi alle 18,30 la Messa per il trigesimo, presieduta dal cardinale Angelo Sodano), possiamo ripercorrere, attraverso le lettere, alcuni momenti del suo rapporto con i due beati. È nota la stima e la fiducia che Giovanni Paolo II nutriva per Andreotti, sia come politico, che come cristiano. Ma, analizzando il carteggio inedito tra i due relativo a quegli anni, ci si accorge anche di quanto il Papa fosse preoccupato, sia per l’ingiustizia che Andreotti subiva sia per «l’amata Nazione Italia», come la definiva lui. Basta leggere quello che Giovanni Paolo II scrive ad Andreotti il 13 gennaio 1999 in occasione dell’ottantesimo compleanno del senatore a vita: «Desidero in particolare, rinnovarLe l’espressione del mio apprezzamento per l’appassionata dedizione con cui nel corso di questi anni ha servito, come cristiano impegnato nell’arengo politico, la causa della giustizia e della pace. Nel confermarle i miei affettuosi sentimenti, auspico che le prove e le sofferenze, su di Lei riversatesi in questi ultimi tempi possano, nei misteriosi disegni della Provvidenza, rivelarsi fonte di bene per la Sua persona e per l’intera società italiana». Non erano parole casuali: erano quasi le stesse che aveva usato Madre Teresa di Calcutta quando, nell’aprile del 1993, qualche giorno prima della Pasqua, era andata a trovare Andreotti nello studio privato di piazza San Lorenzo in Lucina. Il 27 marzo di quell’anno la Procura di Palermo aveva chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere contro il senatore Andreotti ed era, quindi, solo l’inizio della vicenda giudiziaria. Ma quell’incontro con Madre Teresa segnò Andreotti, tanto da ricordarlo nella lettera al Papa dell’ottobre del 2003. Eppure non era certo la prima volta che Madre Teresa entrava in quello studio. C’era, infatti, un rapporto di stima e amicizia profondo tra i due e Andreotti considerava Madre Teresa santa già quando era in vita. Inoltre, nel 1993, furono spesso in contatto, perché la suora aveva chiesto al senatore a vita un aiuto per convincere il governo cinese affinché gli fosse permesso di realizzare un centro per giovani handicappati a Shangai. Ma quel giorno dei primi di aprile Madre Teresa non andò da Andreotti per questo. Arrivò senza preavvisare e restò più di un’ora a colloquio, tenendogli spesso la mano per confortarlo, come raccontò lui stesso ad alcuni amici in occasione della beatificazione di Madre Teresa. L’accenno a quell’incontro torna anche in una lettera inedita di Andreotti a Madre Teresa in cui le ribadisce con forza la sua totale estraneità alle accuse che gli piovono addosso in quel periodo. È stata scritta il Sabato Santo del 1993 e una copia fu inviata per conoscenza a monsignor Dziwisz, il segretario di Giovanni Paolo II: «A lei che è venuta a confortarmi con la sua solidarietà e preghiera, desidero dire davanti a Dio che non vi è nemmeno un’ombra di verità: io ho solo lottato la mafia. Per il resto se il Signore vuole provarmi non posso davvero lamentarmi».Tornando alle lettere di Giovanni Paolo II ad Andreotti, c’è un aspetto importante che il Papa mette in evidenza: ovvero che la sua vicinanza spirituale è stata costante negli anni. Infatti, il 14 dicembre 1999, in occasione delle festività natalizie, Giovanni Paolo II scrive: «RinnovandoLe l’assicurazione della mia vicinanza spirituale, che mai è venuta meno nel corso di questi anni, durante i quali ella ha conservato in ogni circostanza salda fiducia nel Signore. Continuo a pregare Iddio affinché Le sia largo del suo aiuto, sostenendola nell’impegno di perseverante testimonianza cristiana e di generoso servizio a vantaggio dell’amata Nazione italiana». Il 1999 era stato un anno pieno di avvenimenti: il 19 gennaio, il giorno dell’ottantesimo compleanno di Andreotti, era iniziata a Palermo la durissima requisitoria del pubblico ministero e, alla fine di aprile, a Perugia, i pubblici ministeri avevano chiesto la condanna di Andreotti per l’omicidio Pecorelli. Eppure il 2 maggio, in Piazza San Pietro, Giovanni Paolo II, durante la beatificazione di padre Pio fece chiamare a sé Andreotti e lo benedisse in mondovisione. Il giorno dopo, nel suo studio, un Andreotti ancora emozionato, non nascose la sua preoccupazione per il Papa: «Dio non voglia che la veste bianca del Papa venga macchiata anche da uno schizzo di questo fango». Il 24 settembre 1999 il tribunale di Perugia assolse Andreotti e lo stesso fece quello di Palermo a ottobre. Era solo il primo grado di giudizio, la guerra sarebbe stata ancora lunga e con momenti molto difficili. Ma anche nei momenti più bui, Wojtyla non cambiò opinione. In occasione del Natale del 2002, dopo che il 17 novembre Andreotti era stato condannato in appello a Perugia, Giovanni Paolo II scrisse ad Andreotti: «Sono lieto di ritrovare ancora una volta nell’animo Suo, caro senatore, nonostante le reiterate prove permesse dalla Provvidenza i sentimenti cristiani che devono sostenere il pellegrinaggio terreno di chi, nella fede, è proteso verso quei nuovi "cieli e quella nuova terra nei quali avrà stabile dimora la giustizia". Chiedo al "Principe della pace", che ci disponiamo ad accogliere nella "Notte santa", di donarle interiore forza e costanza per non perdere mai quella serenità di parola e di atteggiamento che è motivo di ammirazione in quanti la conoscono». Erano lettere, quelle con Wojtyla e con Madre Teresa a cui Andreotti era sentimentalmente molto legato: non le rese mai pubbliche, ne parlò con discrezione con i parenti e qualche amico, ma ne conservò sempre alcune fotocopie all’interno del sottomano in pelle della sua scrivania, nello studio al Senato, dove sono state trovate dopo la sua morte.
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