lunedì 17 settembre 2012
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​Il cinema è, rispetto a qualsiasi altro ambiente, il più propizio per testimoniare la fede. Per lungo tempo gli attori credenti non hanno ammesso di essere tali perché molte persone di cinema, le più appassionate, erano di sinistra e disprezzavano la fede, considerandola un arretramento dell’intelligenza. Quando io evocavo Dio, mi si ritorcevano contro così: «Senti, smettila di rompermi le scatole con questo!». E così noi, credenti, intimiditi, non dicevamo niente. Uno dei miei grandi amici, monsignor Dominique Rey, oggi vescovo di Tolone, un giorno mi ha detto: «Quando si possiede un tesoro come la fede, non bisogna conservarlo per noi stessi, ma è necessario condividerlo, parlarne con gli altri intorno». Allora, sotto la sua guida, abbiamo fondato un gruppo di preghiera per gli artisti che è durato una ventina di anni.
 
Questa fu un’incredibile esperienza di accoglienza, condivisione e preghiera gli uni per gli altri. Molte persone vi sono approdate con gravi situazioni di infelicità. Le abbiamo aiutate, abbiamo pregato per loro, si sono sollevate, sapevano che non erano più sole. In fondo in fondo, gli artisti non sono così lontani dalla fede: cercano la bellezza, la verità, l’espressione, l’emozione. Ma fanno un mestiere pieno di tentazioni: gloria, vanità, soldi … Nella mia vita non ho mai stabilito una frontiera tra l’arte e la fede. Sono artista e credente. Mi si domanda spesso come ho potuto fare con convinzione il teatro di avanguardia, quello di Beckett per esempio … Non c’era in quel caso una messa in discussione dell’idea di Dio? In Aspettando Godot si attende per lungo tempo … Nella nostra epoca lo spirituale si incarna piuttosto, come in Beckett, nella disperazione, in uno sguardo assai pessimista, anche pieno di humour, sulla condizione umana, elevando in alto la miseria umana. Uno sguardo di incredibile commiserazione.
 
Penso che tutti gli artisti, credenti o meno, siano preoccupati dall’idea di Dio. L’arte è una trasposizione della vita, che tende a mostrare l’invisibile. Questa capacità di sentire e presentire è presente in molti artisti. La scrittrice e regista Marguerite Duras diceva sempre: «Io non credo in Dio ma ci parlo insieme sempre». Il Signore abita in tutti gli esseri, anche in maniera sotterranea … Un’opera d’arte è una leva considerevole. Certe persone si sono convertite entrando nella cattedrale di Chartres, convinte dalla grandezza e dalla bellezza. Altri lo hanno fatto ascoltando la musica, leggendo un testo, girando un film, come quel giovane attore che è diventato monaco dopo aver interpretato Cristo. Quando ho realizzato uno spettacolo su santa Teresa di Lisieux, una ragazza, che esitava molto a diventare carmelitana, ha visto la rappresentazione e subito dopo ha esclamato: «Ho capito cos’è, entro in convento». Non bisogna mai disperare, la felicità è sempre possibile. La nostra civiltà fa paura, tutto diventa anonimo, non si è più persone. I giovani cercano qualcosa alla quale aggrapparsi e il modo per esistere. Mi piacerebbe che lo sguardo di redenzione di Cristo si potesse posare più spesso sulle persone smarrite. L’arte potrebbe contribuire a ciò.
 
 
La realizzazione del film Uomini di Dio è stata una tappa molto importante della mia vita, anche solo perché mi ha permesso di incontrare la figura di frère Luc di Tibhirine. Egli incarna il mio ideale: non occuparsi più di sé, dedicarsi costantemente agli altri. Ecco una delle più belle direttrici della fede. Frère Luc è un personaggio ricco, magnifico da interpretare. Mi commuovevo molto e sovente, per esempio quando ho improvvisato la scena in cui lo si vede farsi vicino a una riproduzione di Cristo flagellato: in quel modo, tutto in un colpo, ha detto il suo amore per Cristo accettando di condividerne la sofferenza. In quel film non ho avuto l’impressione di recitare: ho vissuto. Frère Luc, che era un fratello, non un prete, era presente, tutto il tempo, mi ha prestato il suo spirito per interpretare il suo ruolo. Mi guidava nelle mie parole. Poco prima di girare la scena nella quale una giovane algerina mi poneva delle domande sulla vita e sull’amore, il regista, Xavier Beauvois, mi ha comunicato di non esser contento del testo e mi ha domandato di improvvisare. Allora ho lasciato libero corso alla mia voce: le parole sono venute da sole. La vita esemplare di frère Luc illustra perfettamente questa frase della Bibbia: «Non vi è amore più grande che dare la vita per i propri amici». Quest’uomo ha offerto la sua vita a Dio, ma anche a tutti quelli che egli aiutava ogni giorno. Luc amava gli algerini. Rifiutando di lasciare il monastero, è andato fino al sacrificio. Egli è sempre presente nella mia preghiera, per me è diventato un grande modello.
 
(Traduzione di Lorenzo Fazzini)
© Editions Philippe Rey
 
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