sabato 12 settembre 2015
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Città che non inquinino, ma migliorino la qualità della vita, che riducano i conflitti e favoriscano le relazioni, promuovano la collaborazione tra pubblico e privato, cancellino le discriminazioni e siano armoniche in ogni loro parte, non solo nei centri storici... Sono alcuni dei punti su sui si articola il seminario "Città: arte architettura e umanesimo. Riflessioni per la politica e l’economia" organizzato dal Servizio edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana che si apre oggi a Torino. Scopo dell’incontro è formulare un "Manifesto sulla cura della casa comune", ovvero della città, tenendo conto che oggi tutto il mondo sta divenendo città. Come spiega monsignor Giuseppe Russo, direttore del Servizio edilizia di culto: «Abbiamo visto diffondersi nuove povertà e crescere il disagio dovuto alla disoccupazione giovanile e ai flussi migratori. E le città gemere nei loro lembi perduti: pregio nelle zone agiate, affollamento disorganizzato dove sta chi non ha risorse economiche. È provato che l’ambiente influisce sugli animi; se manca il decoro si perpetua il disagio; ove c’è armonia, questa dona dignità. Ecco dunque l’impulso che spinge la Chiesa a impegnarsi sul problema dell’ambiente urbano e non urbano: che sia per l’essere umano, consono con le sue necessità di vita, adatto a preparare un futuro di speranza. L’ha evidenziato papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, tra l’altro ricordando come sia "necessario curare gli spazi pubblici... che accrescono il nostro senso di appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro sentirci a casa all’interno della città che ci contiene e ci unisce"». La decisione di convocare un incontro volto a stilare un "Manifesto sulla cura della casa comune" riflette un impegno da sempre presente nella Chiesa. Aggiunge Russo: «Lo si vuol rendere più concreto e aggiornato. Poiché l’essere umano abita il pianeta intero, è necessario che l’atto dell’abitare sia espressione consapevole di un progetto: ovvero del guardare avanti. La complessità del compito richiede un approccio multidisciplinare: riguarda l’architettura e l’ingegneria, l’amministrazione pubblica e l’economia, la cultura e la vita associata, la politica e il singolo cittadino. Per questo il gruppo di lavoro costituito per redigere il "Manifesto" è composto da persone provenienti da diversi ambienti professionali e dell’impegno sociale».Vi sono state altre iniziative di carattere urbanistico, quali quella di Renzo Piano per le periferie ma, sostiene Paola Pierotti che ha coordinato i preparativi del seminario di Torino: «Qui proponiamo una lettura più ampia per un più vasto confronto, tra tutti coloro che credono in un processo di rigenerazione urbana, che tenga insieme bellezza, inclusione sociale, sostenibilità economica e ambientale».Sono una cinquantina gli esperti convocati. Tra questi, Mario Abis si occupa di inclusione sociale: «Oggi l’accento verte sulle smart cities, ma per essere veramente intelligenti le città devono fondarsi sulla qualità della vita, e questa si ottiene superando l’orientamento che prevedeva l’integrazione, per favorire invece l’inclusione: ovvero l’attiva partecipazione di tutti, con le loro tradizioni e le loro culture. Tra l’altro questo implica dare importanza ai luoghi pubblici: scuole, centri sociali e religiosi, piazze. Oggi quest’attenzione manca. Si consideri l’esempio del progetto Porta Nuova a Milano: grattacieli, bar e ristoranti, qualche spazio verde. C’è integrazione, si vedono persone di ogni parte del mondo, ma ben selezionate dal livello dei prezzi. Non c’è inclusione, prevale la logica del profitto privato. Per una vera inclusione occorre anche facilità di comunicazione a due vie tra amministrazioni locali, cittadini e nuovi arrivati; una mobilità intelligente, in cui per esempio le stazioni non siano come supermercati che a una certa ora chiudono per divenire provvisorio ostello dell’emarginazione...».Nelle periferie ai problemi antichi si sommano quelli più recenti legati all’afflusso di migranti. A questo riguardo Flaminia Giovanelli, sottosegretaria della Pontificia Commissione Iustitia et Pax, avanza una concreta proposta di inclusione: «Le nostre corali parrocchiali, specie dei quartieri periferici, non potrebbero farsi sempre più strumenti di dialogo e unità anche al di fuori delle chiese? A Roma c’è la bella realtà dell’orchestra di piazza Vittorio (multietnica per eccellenza): musicisti di nazioni diverse, con radici culturali diverse, ma che hanno in comune la lingua musicale attraverso la quale esprimono possibilità di riscatto sociale e trasmettono un messaggio di fratellanza». Serve, insomma, la capacità di coniugare i luoghi urbani con attività culturali, ludiche, solidali volte alla crescita delle persone. «Adriano Olivetti nel secondo dopoguerra si mosse in questa direzione – riferisce Francesco Cascino, esperto in arte e comunicazione – e nella sua opera urbanistica promosse interventi artistici non di carattere monumentale, ma atti a rivolgersi alle necessità reali delle persone. Anche oggi vi sono micro-interventi che vanno in questa direzione. Penso al quartiere Wynwood a Miami che, ancora pochi anni fa denso di criminalità, grazie all’afflusso di artisti che sono intervenuti dialogando con le persone, sia ora divenuto un centro culturale rilevante e sia totalmente pacificato. Esempi simili si trovano in molte città, da New York a Lipsia. L’arte, non calata dall’alto, ma in dialogo coi cittadini, ne attiva la creatività. E così genera ricchezza, perché attira gli investimenti: in un circuito virtuoso che i governi possono favorire con la defiscalizzazione di chi finanzia opere artistiche a valore urbano».Estetica e armonia come strumenti per umanizzare le città: su questo insiste anche Gian Carlo Magnoli, che si occupa di architettura sostenibile «che avvicina il costruito alla natura, perché lo inserisce nella stessa logica, in cui utilità fa rima con bellezza. Come la disposizione a spirale delle foglie sui rami permette di massimizzare la fotosintesi ma del pari comunica un senso di armonia. Allo stesso modo complessi urbani, quando siano intesi come un ecosistema, saranno in grado di rispondere alle necessità con soluzioni ricche di eleganza. Si tratta di comprendere la città come un organismo vivente, fondato su sistemi di relazioni».A oltre settant’anni dalla formulazione della Carta d’Atene, che da allora ha influito sul pensiero urbanistico, con questa iniziativa la Chiesa si fa promotrice di un nuovo importante documento programmatico che potrà orientare le politiche urbane del futuro. Lo auspica monsignor Russo: «Confidiamo che da questo documento germogli una discussione più ampia sulle concrete proposte che saranno formulate. E che ne emerga un impegno comune che venga dal cuore dell’essere umano e che sia in favore dell’essere umano».
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