venerdì 26 settembre 2014
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Jaron Lanier è abituato ai primati. È stato il primo essere umano a coniare il termine “realtà virtuale” e a sperimentarla di persona, quando ancora si pensava che il nostro futuro sarebbe stato una faccenda di visori tridimensionali e guanti cablati. Quest’anno sarà il primo pensatore digitale a ricevere, il 12 ottobre, il Premio per la Pace che l’associazione dei Librai tedeschi assegna da oltre mezzo secolo in occasione della Fiera del Libro di Francoforte (tra gli ultimi a vincerlo Claudio Magris, David Grossman e Svetlana Alexievich). Scelta in apparenza eccentrica, se non altro per questioni di apparenza, appunto. Nato a New York nel 1960 e cresciuto in New Mexico, all’estrema periferia degli Usa, Lanier non ha mai abbandonato la sua vistosa acconciatura di dreadlocks, così come non ha mai rinunciato alla passione per la musica sperimentale (è, tra l’altro, un collezionista di strumenti rari). Iscrittosi giovanissimo all’università, ha frequentato il Mit nel periodo eroico in cui - ricorda - si poteva provare "il brivido di usare livelli di sicurezza militari, intorno al 1983, solo per discutere su chi dovesse pagare la pizza".Chi ha seguito lo sviluppo del mondo digitale, con il suo alternarsi di promesse e delusioni, in sostanza non ha fatto altro che incrociare in continuazione l’eclettico Lanier. Il quale ha progettato videogiochi e prestato consulenze a società come Wal Mart (il colosso americano della grande distribuzione), ha contribuito a far nascere una startup dietro l’altra e attualmente è impegnato in un progetto segretissimo per Microsoft. Sì, ma che cosa c’entra un tecnomane con la pace nel mondo e l’equità sociale? C’entra moltissimo, perché da quando il Web 2.0 ha iniziato a modificare le nostre vite, sostituendo l’originaria apertura della rete con un sistema di "applicazioni" sempre più rigide, Lanier ha iniziato a elaborare una personalissima critica della ragione e, più ancora, della prassi informatica. Da principio ha attaccato il "maoismo digitale" di Wikipedia e, in generale, dei sistemi basati sul presupposto (indimostrabile, secondo lui) della "saggezza della folla", documentando come dietro ogni autentico progresso, in qualsiasi campo, ci sia la creatività del singolo, non l’indistinto brusio dell’alveare. E adesso è tornato a ragionare sulla famosa pizza dell’83. Molti, tra i commensali di allora, hanno risolto la questione del conto in maniera abbastanza spregiudicata: facendola pagare agli altri. Cioè a noi.Il libro che sta alla base del premio tedesco è uscito lo scorso anno negli Stati Uniti e in Italia è appena stato pubblicato dal Saggiatore con il titolo La dignità ai tempi di Internet (traduzione di Alessando Delfanti, pagine 410, euro 22). In prosecuzione del ragionamento avviato nel 2010 con il best seller Tu non sei un gadget  (Mondadori)., Lanier si fa qui promotore di una controrivoluzione umanistica rispetto a quelli che lui stesso definisce i "Server Sirena": potentissimi sistemi di elaborazione dati che attraggono gli utenti con il miraggio della gratuità, riuscendo in questo modo a procurarsi guadagni smisurati. È lo schema di Google, di Facebook, di tante altre aziende che hanno accumulato capitali stratosferici semplicemente trafficando con i dati degli utenti. Ai quali, com’è noto, nulla viene riconosciuto. Tra i molti esempi suggeriti da Lanier il più immediato è forse quello relativo alle traduzioni on-line. Al contrario di quello che si immagina, non è la "macchina" a eseguire il passaggio da una lingua all’altra. Il Server Sirena, di per sé, non fa altro che confrontare la singola frase con le traduzioni già esistenti, fornendo poi una rielaborazione abbastanza grossolana. Il materiale di base, però, è fornito dagli esseri umani che hanno precedentemente eseguito la traduzione e ai quali nulla viene dato in cambio.L’obiettivo di Lanier è molto ambizioso e, di conseguenza, molto discusso sia dagli entusiasti della tecnologia sia dai detrattori per partito preso. Ma è anche, in un certo senso, un ritorno al passato. Il progetto di una "economia umanistica della rete" (e quindi di "un’economia digitale più equa", come recita il sottotitolo del suo corposo saggio) prevede infatti una serie continua di "micropagamenti" a beneficio del singolo utente. Restiamo alle traduzioni: ogni volta che la mia versione di un testo viene adoperata dal server, nei miei confronti matura un guadagno, sia pure minimo, destinato tuttavia ad accumularsi nel tempo. Lo stesso vale per qualsiasi altra informazione da me condivisa. «In linea teorica - argomenta Lanier - guadagnare ricchezza, in senso esteso e non solo in termini di soldi, diventerebbe sempre più simile al modo in cui già oggi si spende».Non esattamente un reddito di cittadinanza, ma un accorgimento per evitare l’estinzione di quella "classe media" sulle cui competenze (non riconosciute) i Server Sirena prosperano. Lanier definisce la sua proposta "nelsoniana", richiamandosi a uno dei pionieri della cultura digitale, Ted Nelson, al quale si deve l’intuizione di Xanadu, il modello di rete poi sconfitto dall’avanzata del World Wide Web. Il sistema studiato da Nelson si fondava su link "bidirezionali" (e non "unidirezionali", come quelli attualmente adoperati), grazie ai quali ogni informazione avrebbe sempre conservato memoria della propria fonte. Questo renderebbe più facile, o addirittura immediato, il computo dei micropagamenti. «Se il sistema ricorda l’origine delle informazioni - spiega Lanier -, le persone all’origine delle informazioni possono essere remunerate in base al loro utilizzo». Perché dietro a tutto ci sono sempre le persone. Una semplice verità, che i Server Sirena hanno tutto l’interesse a oscurare.
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