giovedì 21 maggio 2015
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«Da Platone in poi, il pensiero occidentale ha accordato scarso valore alla leggerezza, associata spesso all’effimero. Ma nel nostro mondo questa dimensione diventa sempre più centrale e occorre dunque con urgenza pensarla e comprenderne tutte le conseguenze». Proprio in questa direzione, si è mosso il noto filosofo francese Gilles Lipovetsky, a lungo docente all’Università di Grenoble, pubblicando l’originale saggio De la légèreté (Grasset). Professore, cosa intende per centralità della leggerezza?«Storicamente, la leggerezza è stata valorizzata solo nell’arte, come valore estetico, ad esempio nella danza. Dunque, solo da nicchie della società, o ai margini. Sul piano materiale, per secoli, prestigio e pesantezza sono invece rimasti sinonimi: l’oro, i castelli, poi l’acciaio e il cemento della grande industria. Ma nell’ultimo mezzo secolo, il mondo è cambiato, in particolare grazie allo sviluppo delle tecnologie leggere, fino all’attuale virtualizzazione digitale e alla rivoluzione in corso delle nanotecnologie: ovvero, un mondo di oggetti quasi ai limiti della materialità. Con 100 grammi di tecnologia in tasca, si può entrare in contatto quasi con l’intera umanità. Il nostro mondo materiale si piega paradossalmente sempre più alla strana legge imperiosa della leggerezza. Persino in ambiti come l’energia, sviluppiamo una sorta di fobia verso ciò che è pesante».  Gli oggetti leggeri vengono spesso definiti "moderni". Occorre precisare?«Sì, perché il nostro tempo porta in realtà alle estreme conseguenze certe tendenze della modernità, aprendo nuovi scenari. Per questo preferisco parlare di "ipermodernità". Si consideri ad esempio un secondo ambito, ovvero il rapporto al corpo. Sul piano delle rappresentazioni, siamo immersi nel culto della magrezza e dei prodotti alimentari light. Il grasso ci spaventa. E la nostra epoca valorizza pure discipline sportive leggere, come il pattinaggio e lo sci. Il terzo pilastro su cui poggia questo nuovo paradigma della leggerezza è la società consumistica. La quale può sperare di svilupparsi ad oltranza solo investendo sempre più la sfera della leggerezza: gadget, servizi personalizzati di ogni tipo, turismo».  In che modo la nostra vita è investita da questa leggerezza?«L’impatto è considerevole, se si pensa che tanti lavori diventano potenzialmente nomadi, grazie all’uso dei computer portatili. E lo stesso si può dire per le possibilità d’incontro e scambio con gli altri. In proposito, la società della leggerezza è pure quella dell’accelerazione. Nonostante le resistenze legittime di movimenti che promuovono una certa lentezza in ambiti come l’alimentazione, in generale ci accorgiamo che ciò che è lento c’indispone sempre più. Al punto che soprattutto i giovani sviluppano quasi una dipendenza a ciò che è rapido e leggero. Per rendersene conto, basta privare un adolescente del suo smartphone».Le possibilità offerte dalla tecnoscienza leggera rilanciano pure un certo prometeismo?«Sì, perché siamo di nuovo accarezzati ogni giorno dal sogno di Icaro. Nonostante la crisi ecologica, tendiamo a credere di poter dominare la natura. Le nanotecnologie, in particolare, aprono nuovi orizzonti alle aspirazioni di potenza. Il che contraddice il vecchio paradigma di una potenza perseguita padroneggiando tecniche, arsenali e oggetti pesanti. L’apoteosi di questo prometeismo è rappresentata dalla tentazione del "transumanismo", il cosiddetto "uomo aumentato". Emerge un "nanopotere" legato alla manipolazione delle molecole, dei geni, della materia infinitesimale. Dunque, un prometeismo radicale».Gli Stati hanno voce in capitolo o rischiano di restare spettatori?«Sono meno protagonisti, perché le nuove tendenze sono promosse dal mercato. Non a caso, i Paesi più liberisti sembrano i grandi alfieri di quest’evoluzione. La Silicon Valley è divenuta l’epicentro di un nuovo mondo dove ogni frontiera statale pare definitivamente relativa. Gli Stati possono naturalmente tentare d’introdurre leggi, regolamenti, tasse, ma ciò si dimostra sempre complicato. Vi saranno nuovi inquadramenti legislativi, ma probabilmente resteranno a lungo in ritardo rispetto all’evoluzione tecnologica». Nonostante l’esibizione crescente della sua leggerezza, il consumismo pare lo stesso prossimo a certi limiti fisiologici. Ci avviciniamo a nuove soglie d’incertezza? «Rispetto al passato, il consumismo tende oggi ad invadere tutte le sfere della vita, agendo come un colonizzatore. Ha abbattuto molte barriere di tempo e di spazio. Ma l’evoluzione di questa corsa presenta innegabilmente tante incognite, legate pure alle reazioni suscitate dal mercantilismo crescente di ambiti inizialmente concepiti come gratuiti, come Internet. Inoltre, permangono freni culturali, morali e religiosi al consumo. Il futuro resta poco prevedibile. Da una parte, la leggerezza seduce ormai persino il mondo povero, suscitando dappertutto aspirazioni che un tempo restavano una prerogativa dei ceti privilegiati dei Paesi ricchi. Dall’altra, il seducente consumismo della leggerezza presenta pure un vasto retroscena di rischi e pesanti frustrazioni psicologiche, del resto già oggi ben visibili. La civiltà del piacere consumistico non è sempre un sinonimo di civiltà della felicità. Anzi, potrebbe persino diventare l’opposto».
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