martedì 31 marzo 2015
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La teologia è solo materia per accademici, preti e studiosi? Oppure può informare la vita, plasmare un impegno professionale, smuovere una scelta esistenziale? La domanda non è oziosa. Di risposte ve ne possono essere diverse, e per lo più positive. Una di queste arriva da Oltreoceano. Ha per oggetto la teologia della liberazione, in particolare Gustavo Gutiérrez, il suo fondatore, oggi religioso domenicano. E la persona in questione è il direttore del dipartimento di medicina sociale alla prestigiosa Harvard Medical School. Si chiama Paul Farmer, di lavoro è medico, di formazione anche antropologo. E proprio grazie ai libri di Gutiérrez (in particolare il suo fondativo Teologia della liberazione e Bere al proprio pozzo, entrambi editi da Queriniana) ha deciso di dedicarsi alla cura sanitaria dei più poveri, fondando un ong - Partners in Health (Pih) - oggi impegnata in diversi paesi del mondo, soprattutto in Ruanda e in Haiti, isola nella quale Farmer è inviato speciale dell’Onu. La relazione tra Farmer e Gutiérrez, feconda per entrambi, amicale da più di vent’anni, stimolante per la sua interdisciplinarietà, si è da poco condensata in un libro, In the Company of the Poor, "A fianco del povero", (Orbis Book, pp. 206, $24), da poco nelle librerie americane. Proprio dal dialogo tra queste due personalità, prima a distanza tramite i loro scritti, poi de visu in diversi incontri, emerge la singolare contaminazione tra teologia e sanità che i due portano avanti.Farmer racconta come fu l’uccisione di monsignor Romero (1980), quando era un giovane studente, a suscitare in lui l’interesse per l’America latina e la lotta per la giustizia che quel continente stava vivendo, oppresso per lo più da dittature di matrice militari e liberticide. Quando poi si trovò in prima linea come medico ad Haiti e in Perù, iniziò a leggere i testi di Gutiérrez trovandovi la direttrice ispiratrice più convincente per un medico come lui: «Nella maggior parte dei casi le malattie preferiscono i più poveri. Il povero è più malato del non povero», asserisce oggi. E così «leggendo i libri di Gutiérrez mentre stavo curando malati in condizioni disperate, la maggior parte dei quali sopravvivevano ma erano malati proprio perché poveri (questo avviene soprattutto ad Haiti), capivo con molta chiarezza come la povertà e la privazione costituivano quello che i teologi della liberazione chiamavano "peccato strutturale", una barriera per il fiorire dell’umano, in Perù come ad Haiti». E proprio il pensiero di Gutiérrez ha educato il giovane Farmer (che negli Usa è una vera e propria celebrità: quando sul suo profilo social ha postato la notizia dell’uscita di In the Company of the Poor, in un giorno ne sono state vendute 10 mila copie!): «I teologi della liberazione sono tra i pochi che si sono preoccupati di sottolineare le mancanze del sistema dei diritti umani». Dunque, cosa insegna la teologia della liberazione alla medicina? «Quando i bambini vivono in povertà muoiono di gastroenterite e di malnutrizione, e non si trova un responsabile per questo, la teologia della liberazione trova come colpevole l’intera nozione di diritti umani così com’è definita dalle democrazie liberali».In particolare Farmer sottolinea come la teologia di Gutiérrez sia stata precisa e corretta nel definire cosa sia la povertà, identificando quelle "strutture di peccato" che anche il magistero sociale della Chiesa - da Paolo VI a Francesco oggi - considera qualcosa di oggettivamente errato e malvagio: «La violenza strutturale è l’ineguaglianza per la quale non esiste un colpevole, ma solo il fatto che "le cose sono così"». È allora possibile elaborare una medicina ispirata alla teologia della liberazione? Farmer ne è convinto e lo spiega così: «Primo, cercare le cause radicali del problema della povertà; secondo, assumere lo sguardo dei poveri e incorporare questo sguardo nelle osservazioni, nei giudizi e nelle azioni». Imparando da un grande missionario come Bartolomeo de las Casas la capacità di denunciare l’ingiustizia che si tocca con mano quando si indossa un camice e si opera in un ospedale: «Gli indios stanno morendo prima del loro tempo».Da parte sua Gutiérrez - che ha fatto conoscenza di Farmer nel 1994, quando questi andò a trovarlo nella sua parrocchia in una bidonville di Lima - precisa e rilancia il punto di partenza del suo pensiero, che non è un’analisi sociologica bensì una convinzione decisamente teologica: «La teologia della liberazione inizia da una domanda: come dire a un povero "Dio ti ama"? Questa è la nostra chiamata alla testimonianza come seguaci di Gesù, sebbene la domanda sia più grande della nostra capacità di rispondere». E anche sulla formulazione classica "opzione preferenziale per i poveri" - che Gutiérrez ricorda esser stata ribadita da Benedetto XVI, il quale ad Aparecida disse che essa è "implicita" nell’annuncio evangelico -, il teologo di Lima precisa il senso della lotta alla povertà: «Liberazione dal peccato è liberazione dal rifiuto dell’amore. La povertà è veramente una mancanza di onorare la creazione. Questa frase non è mia, ma di un ex padre generale dei gesuiti [che si tratti di padre Arrupe?, ndr]. La povertà è una mancanza di seguire la volontà di Dio come una volontà di vita; la povertà è contraria a questa volontà di realizzare la creazione».
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