giovedì 24 luglio 2014
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È ora in libreria, in rinnovata veste grafica, la sesta ristampa del volume di Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, edito da Queriniana nel 1995. Nuovi lettori si avvicineranno perciò a questa celebre ma impegnativa opera, su alcuni aspetti della quale vorremmo attirare l’attenzione. Il fenomeno umano non è un trattato scientifico, come la prima inesatta edizione inglese fece purtroppo intendere, né un saggio teologico, ma è una rappresentazione dei fenomeni evolutivi interpretati in un quadro unitario dotato di senso, è una grande sintesi del divenire universale. Le conoscenze scientifiche posteriori agli anni ‘40 ne hanno confermato e accresciuto il valore, che appare attualissimo, in particolare riguardo alle fondamentali tematiche della “complessità” e della “Noosfera”. La “complessità” , perlomeno sino agli anni ’80, è stata di norma intesa come una caratteristica di tutte le strutture complicate, mentre Teilhard l’utilizza con un significato molto particolare. È quindi opportuno che i lettori si soffermino sulla sua definizione, per intendere correttamente l’importante fenomeno di complessificazione della materia. In breve, sono definite complesse quelle strutture (monadi o centri di coscienza) che racchiudono in se stesse un numero fisso di elementi, “n”, legati insieme da incessanti interazioni, come nell’atomo e nella cellula vivente. Da ogni struttura complessa emergono proprietà che i singoli componenti di per sé non hanno, come nella molecola dell’acqua, in cui l’idrogeno e l’ossigeno sono singolarmente solo dei gas. Per «vedere» come Teilhard si sforza di farci vedere, basta indirizzare e mantenere lo sguardo nello stesso senso in cui la materia si complessifica, a partire dalle strutturazioni degli atomi e delle molecole sino alle organizzazioni di miliardi di cellule nei sistemi viventi. Poiché questa tendenza della materia a complessificarsi è continua, malgrado sia contrastata dall’aumento dell’entropia nell’universo, Teilhard de Chardin ritiene che sin dalle origini del mondo operi un Attrattore (il “Punto Omega”) «già sommamente presente» e capace di far sì che le cose si facciano. Vi è chi ha colto nell’azione extra-temporale del “Punto Omega” una prova dell’esistenza di Dio, della quale però non si è avvalso Teilhard de Chardin. È invece negli scritti di carattere teologico che egli, basandosi sulla Sacra Scrittura, proclama la coincidenza del “Punto Omega” con il Cristo della Parusia. La sua scoperta di un’ininterrotta corrente di complessificazione, dal Big bang in poi, mostra che l’evoluzione è orientata in senso costruttivo, malgrado una serie di passaggi altamente problematici. La complessificazione è molto evidente e riconosciuta nell’ambito della materia organica, ma la sua continuità con la precedente genesi della materia inorganica è ancora scarsamente percepita. Peraltro nessuno mette in dubbio che «combinando le evoluzioni nucleare, chimica e biologica, oggi possiamo ricostruire l’odissea dell’universo». E i più attenti rimangono sbigottiti nel prendere coscienza delle relazioni esistenti fra la molecola del Dna, nella sua compiutezza, e i singoli atomi che ne fanno parte (idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio e fosforo) le cui proprietà di unificarsi, per finalità collettive più elevate, dovevano essere già presenti nel cuore delle stelle! Rispetto alle teorie sull’evoluzione, Teilhard de Chardin ammette la funzione del “caso” («è il posto di Dio nel governo del Mondo»), l’emergenza del più adatto e la selezione naturale («purché non le si consideri come ideale conclusione o come spiegazione ultima»), ma ritiene pure che il processo di avanzamento evolutivo si sviluppi attraverso una “ricerca a tentoni” in cui casualità e gioco dei grandi numeri generano un orientamento canalizzato verso degli scopi non prevedibili a priori. Il suo approccio ai meccanismi evolutivi, olistico e sistemico, è quindi ben diverso sia da quello rigidamente deterministico sia da quello fondato interamente sulla casualità. La sua ampiezza di vedute lo indusse a creare negli anni ’40, a Pechino, l’Istituto di Geobiologia, allo scopo di studiare i meccanismi evolutivi nel contesto della Biosfera, più precisamente in ambito continentale. Fu un’iniziativa lungimirante che apre «nuove prospettive per la teoria dell’evoluzione». Un secondo aspetto, rimasto in ombra o collocato nel futuribile, riguarda la Noosfera. C’è da domandarsi, infatti, fino a che punto settant’anni fa potevano apparire realistiche queste frasi: «Ogni individuo si trova ormai (attivamente e passivamente) presente allo stesso tempo in tutti i mari e i continenti – coestensivo alla Terra... Un grande corpo sta nascendo – con le sue membra, il suo sistema nervoso, i suoi centri di percezione, la sua memoria». L’idea che la complessificazione dei rapporti sociali avrebbe generato una sorta di cervello collettivo gli era addirittura balenata in trincea nel 1917, immaginando nottetempo che la Luna piena simboleggiasse la futura umanità, unita e coesa, come una grande monade complessificata. Il neologismo Noosfera, che tanta fortuna ha poi avuto, apparve per la prima volta in un suo scritto del 1925, ma è soltanto con l’avvento di internet che un inviluppo di miliardi di inter-connessioni “cerebrali” si sta vistosamente formando sotto i nostri occhi attorno al globo terrestre. La futura convergenza della Noosfera nel Punto Omega dipende però dalla qualità delle relazioni, dalla diffusione dell’amore, dalla cristificazione della società umana. Bisogna «che il mondo stesso diventi ostia vivente, diventi liturgia. È la grande visione che poi ha avuto anche Teilhard de Chardin: alla fine avremo una vera liturgia cosmica», disse Benedetto XVI nell’omelia del 24 luglio 2009.
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