venerdì 16 gennaio 2015
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La Sagrada Família è un inno alla natura, è un canto alla luce e a tutto il creato che, secondo il libro della Genesi, seguì alla creazione della luce. La visione che Gaudí ha della natura e che plasma nella sua opera è molto vicina a quella di san Francesco d’Assisi. Pertanto, a ragione, si è parlato di un’ispirazione francescana nella sua opera, e di uno stile francescano nella sua vita, in particolare quanto a umiltà e povertà. È ben noto che le strutture geometriche, nella cui creazione e uso Gaudí è geniale, si ispirano alla natura. «Il grande libro – affermava – sempre aperto e che conviene sforzarsi di leggere, è quello della natura. Gli altri libri sono tratti da questo e contengono gli errori e le interpretazioni degli uomini. Ci sono due grandi rivelazioni: una dottrinale, della morale e della religione (col termine "dottrina" Gaudí fa riferimento alla Sacra Scrittura), e l’altra, che ci guida attraverso i fatti, che è quella del grande libro della natura». «Ogni cosa proviene dal grande libro della natura – aggiungeva Gaudí –; le opere degli uomini sono già un libro stampato. Vedete quell’albero vicino al mio laboratorio? Lui è il mio maestro». Raramente in un autore degli inizi del XX secolo si possono trovare affermazioni simili così piene di amore e rispetto verso la natura. Gaudí, nel suo modo di amare e rispettare la natura, fu anche un innovatore.Fu un vero apostolo dell’ecologia. Non è forse questa una delle caratteristiche che rende alla Sagrada Família un significato veramente universale, sia a oriente, Giappone in particolare, sia a occidente? Dove apprese il nostro architetto questo amore per la natura? Senza dubbio alcuno, dalla sua infanzia. Si è detto che l’infanzia è la patria di ogni persona per tutta la propria vita terrena. Per quanto riguarda Gaudí sappiamo che durante l’infanzia soffrì di reumatismi articolari, ragion per cui si trasferiva spesso a Riudoms, in una masseria di famiglia, in groppa a un asinello, perché il dolore gli impediva di camminare. Lì, così come confessò a Joan Bergós, nel libro Gaudí, l’home i l’obra, «con i vasi di fiori, circondato da vigneti e uliveti, animato dal chiocciare delle galline, dai canti degli uccelli e dal ronzio degli insetti, e con le montagne di Prades a fare da sfondo, potei cogliere le più pure e gioiose immagini della natura. Questa natura che sempre mi è maestra». Dello spirito di osservazione del Gaudí bambino ci parla questa confessione fatta a Bergós: «A causa della mia malattia, dovetti astenermi spesso dal giocare con i miei compagni, cosa che favorì in me lo spirito di osservazione. Così, quando il maestro spiegò in una lezione che gli uccelli avevano ali per volare, osservai che "le galline della nostra fattoria hanno ali molto grandi e non sanno volare: le utilizzano per correre più velocemente"». È stato scritto che il tempio da lui ideato costituisce un grande giardino in pietra, nel quale il regno minerale, vegetale e animale, perfino gli esseri più umili, come le tartarughe, danno il loro contributo all’opera e intonano un canto di lode al Creatore. Gaudí asseriva che, nell’edificare l’opera, si proponeva di plasmare con la pietra gli esseri viventi che individuava e ammirava nel prato del terreno su cui doveva sorgere la sua "cattedrale". È ben nota la sua ammirazione per i colori. Gaudí credeva che la vita si esprimesse nei colori che non dovevano assolutamente mancare nella sua opera, perché sono espressione di vita ed esplosione di gioia. Questa visione gioiosa e riconoscente della natura è un elemento molto valido per il nostro dialogo con gli uomini di oggi e con la cultura attuale, fortemente segnata dall’ecologia. «Il colore è vita». Come ammirerebbe Gaudí il modo in cui si è diffuso il colore nel mondo attuale! Gaudí era mediterraneo al cento per cento. E sapeva molto bene come la latitudine influisse sul sentimento della bellezza. Secondo Martinell, l’architetto spiegava ai suoi visitatori quanto segue: «Noi abitanti dei Paesi bagnati dal Mediterraneo sentiamo la bellezza con più intensità degli abitanti dei Paesi del Nord, ed essi stessi lo riconoscono. […] Abbiamo l’obbligo di infondere questo sentimento di vita nelle nostre opere, nel cui aspetto deve riflettersi il nostro modo di essere». Gaudí raccontò un aneddoto molto esplicativo del suo amore per la natura, secondo la testimonianza raccolta da Bergós riguardo la costruzione della Casa Vicens: «Quando andai a prendere le misure del terreno, questo era interamente coperto da fiorellini gialli; fiorellini che sono stati ripresi come motivo fondamentale delle piastrelle in ceramica. Trovai anche un esuberante margallón [palma], la cui forma delle foglie, come fuse nel ferro, formano le inferriate e la porta di ingresso». Come è noto, nel Rosario monumentale della montagna di Montserrat, a Gaudí venne affidata la costruzione del primo mistero della Gloria: la risurrezione di Gesù. Anche qui, oltre alla simbologia cristiana, diede prova del suo amore verso gli esseri più umili della natura. Bergós lo racconta in questo modo: «Collocai il mistero della risurrezione in un angolo del percorso, facendo scavare in modo realista la roccia che si vede di fronte alla grotta funeraria, con in mezzo il sepolcro vuoto; alla sinistra del sarcofago, le sante donne ricevono l’annuncio dell’angelo su quanto è accaduto al Maestro. Quando lo spettatore si gira, contempla con emozione che Cristo rifulgente sembra elevarsi sull’alta rupe che vi è accanto. Le sculture collocate all’interno della grotta sono di Reart, e il Cristo, in bronzo dorato, è di Llimona. Adesso manca solo che siano piantati alcuni alberelli e siano coltivati gli ortaggi più umili, per suggerire l’idea dell’orto del buon giardiniere di cui parla il Vangelo e affinché il canto di molti uccelli accompagni la messa della mattina di Pasqua».Nel suo capolavoro, Gaudí introdusse gli elementi della natura, affinché la creazione convergesse nella lode divina, e allo stesso tempo portò all’esterno della chiesa le pale d’altare, per mettere davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, nella passione, nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo. Il nostro architetto fece ciò che possiamo definire uno dei compiti più importanti oggi: «Superare – come affermò Benedetto XVI – la scissione tra coscienza umana e coscienza cristiana, tra esistenza in questo mondo temporale e apertura alla vita eterna, tra la bellezza delle cose e Dio come bellezza. Non realizzò tutto questo con parole, ma con pietre, linee, superfici e vertici. In realtà, la bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo».
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