sabato 23 febbraio 2013
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​Il suo debutto come regista attore e sceneggiatore ha suscitato l’entusiasmo degli spettatori. Giorni fa è stata presa in affitto la Sala Trevi, al centro di Roma, per invitare amici, parenti e conoscenti alla prima de Il corvo dei nostri tempi, che Antonio Breglia, 25 anni, ha scritto, diretto e interpretato ispirandosi a Il corvo, capolavoro noir del 1943 di Henri-George Clouzot: un’opera dalle tinte forti entrata nella storia del cinema. Ma il film del giovane esordiente, girato nel parco di Villa Borghese, all’interno del Museo di Arte Moderna di Valle Giulia e a casa Breglia con attori non professionisti – anche se un po’ diverso da quello del maestro francese – è piaciuto davvero. Gli applausi sono stati sinceri. Per la storia ben raccontata e, se non altro, perché a realizzare la pellicola, dalla stesura del copione fino al montaggio, è stato un ragazzo down che il cinema ce l’ha nel cuore. «Sin da piccolo Antonio ha coltivato questa grande passione – dice la mamma, Maria Rosaria Zincone – andando a vedere i film in prima visione insieme con il suo migliore amico Filippo. E, oltre al cinema, ha avuto una vera e propria venerazione per la fiction Un medico in famiglia: una volta rinunciò persino a un viaggio in America perché in tv c’era una nuova puntata con Lino Banfi e Giulio Scarpati...». E oggi il film di Breglia sarà presentato anche a Milano, alle 18.30 al Cineteatro Arca di corso XXII Marzo. Ci sarà l’autore, ovviamente, accompagnato dal fratello Giulio, uno dei protagonisti del film, e dai genitori, che hanno sempre assecondato questa passione del loro figlio maggiore. «Perché bisogna cercare sempre di capire che cosa frulla nella testa di un ragazzi down – spiega la mamma – e non pensare mai che quello che vuole fare sia un’impresa troppo impegnativa: queste persone hanno capacità superiori a quelle che possiamo immaginare e vivono le loro passioni con maggiore intensità e sensibilità rispetto agli altri. Noi genitori non dobbiamo mai pensare: "tanto non ce la fanno", ma sostenerli sempre al massimo delle loro aspirazioni: solo così possiamo aiutarli». Ma come è nata questa pellicola? «Antonio aveva difficoltà di scrittura e allora abbiamo chiamato un esperto di informatica, Antonio Demma, per insegnargli a usare il computer: tra mio figlio e lui, un altro appassionato di cinema, è nata un’amicizia da cui in seguito è scaturito il progetto di fare il film». Perché Antonio ha scelto proprio Il corvo di Clouzot? «Ho visto la storia messa in scena dalla compagnia teatrale di mio fratello – dice il ragazzo – e mi è piaciuta molto, poi ho visto più volte il film... ma il finale era violento, mi sono arrabbiato e l’ho cambiato». Le Corbeau parla di un losco personaggio che scrive lettere minatorie agli abitanti di un piccolo paese accusandoli di aver compiuto le più disparate nefandezze. Tra le vittime del "corvo" – che alla fine, vistosi scoperto, si uccide – c’è anche il dottor Rémy Germain, il "buono" della vicenda. Ed è proprio lui che Antonio ha voluto interpretare nella sua originale "rilettura" del film. «Che in realtà – aggiunge la mamma – è anche un documentario dove mio figlio appare sul set mentre dirige gli attori e usa la macchina da presa». Un messaggio per tutti quelli che sono nelle sue condizioni, e per le loro famiglie. Antonio Breglia regista, attore e sceneggiatore, ha in animo di realizzare altri cinque film, ci dice. Il prossimo? Sarà probabilmente Giulietta e Romeo, ispirato alla trasposizione cinematografica del dramma shakesperiano che Franco Zeffirelli realizzò nel 1968: una tragica storia di amore e morte. Perché anche Antonio, ragazzo down, ha un messaggio forte da comunicare con la sua arte: «Le persone non muoiono mai del tutto: restano nel cuore di chi le ama».
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