martedì 15 settembre 2015
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Ci sono dolore e rabbia. Ma anche sofferenza e speranza. E voglia di riscatto per una condizione di cui si avvertono tutte le limitazioni, ma da cui non si intende o non si può recedere. Una ricerca esistenziale sempre complicata, sempre in bilico tra ansia di giustizia, rassegnazione e sfogo interiore. E sullo sfondo la domanda pesante come una montagna, con mille sfumature che non riescono comunque a nasconderne l’angoscia: perché un omosessuale cattolico dev’essere costretto a scegliere tra l’amore e la religione? Sì, Eduardo Savarese, magistrato napoletano, impegnato nella sua comunità in varie opere di volontariato, uomo di fede – come lui stesso si definisce – vive un amore omosessuale con tutto il disagio e tutta la fatica connessa ad una condizione che, al di là di certa propaganda, rimane difficile. Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma (Edizioni e/o, pagine 140, euro 9,90; in libreria dal 24 settembre) non è solo sfogo, ma è anche denuncia, richiesta di aiuto, voglia di dialogo. Perché, occorre ammetterlo, nella Chiesa troppo spesso si è preferito non vedere, non discutere, non affrontare il problema.Per mettere il tema omosessualità al centro di un grande  dibattito ecclesiale è stato necessario attendere questo "doppio Sinodo" sulla famiglia. Nella Relatio Synodi dell’ottobre scorso e poi nell’Instrumentum laboris in vista dell’assemblea ordinaria dei vescovi che si aprirà tra pochi giorni, il problema è affrontato in modo breve, ma significativo. Non solo per ribadire che «ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza», ma per sollecitare nuovi progetti pastorali per uno specifico «accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale». Progetto che probabilmente non piacerà a Savarese, perché il termine "accompagnare", secondo l’ipersensibilità omosessuale, sembra definire una sorta di tutela, uno sguardo dall’alto al basso. Non è così, certamente, ma non è agevole valutare la posizione di chi, prima afferma di vivere alla sequela «dell’amore di Cristo»,  di confidare «nella Chiesa cattolica più che nello Stato», di credere «che la sapienza della Tradizione di fede possa orientare i passi delle scelte esistenziali più intime e fondamentali», poi però contesta alla Chiesa di intervenire sulla questione gender «con toni così drammaticamente duri». Anche l’autore, beninteso rifiuta sul tema le posizioni Lgbt, ma vorrebbe che non si bollassero come "teorie di genere" tutte le proposte educative non allineate con il rispetto dell’alterità maschile-femminile. Pretesa che appare un po’ strana, perché sarà anche vero – come Savarese scrive – che «Dio non ha aspettative legate al genere», però nella Genesi c’è scritto senza possibilità di equivoci: "Maschio e femmina li creò. A sua immagine lo creò". E per un uomo di fede, che afferma di rispettare la sapienza della Tradizione, questa pietra miliare biblica qualche significato dovrebbe averlo. Tutta la lettura del libro, comunque interessante e coinvolgente, sembra una sorta di percorso sulle montagne russe. Stessa sensazione scorrendo il capitolo sul matrimonio omosessuale. Prima, senza troppi entusiasmi, ne  difende l’opportunità, ma solo «per chi desideri la discesa dello Spirito, in aggiunta alla consacrazione civile», poi arriva a chiedersi: «Sono tentato di pensare che molti omosessuali, solitari e sessualmente onnivori, indipendenti e libertari, di questo matrimonio non saprebbero che farsene». Un’alternanza insomma che sarebbe troppo facile bollare come contraddittoria, ma forse è solo lo specchio di una condizione che ha mille sfaccettature e quindi, inevitabilmente, finisce per negare ciò che un attimo prima sosteneva. Identico canovaccio per quanto riguarda la famiglia. La naturale diversità delle due figure educative, quella materna e quella paterna, è definita «fondamentale, proprio per quel gioco di pesi e contrappesi, di azioni e reazioni, di silenzi e di parole che, intessuti, rivestono ciò che chiamiamo famiglia». Poi però, in un lungo ragionamento, arriva a rivelare una speranza, quella che la Chiesa possa un giorno benedire le famiglie formate da due madri o due padri. «E non stabilisca l’orientamento della coscienza sulla base del pre-giudizio». Dove la preoccupazione per l’affermazione della propria dignità di omosessuale sembra oscurare completamente ogni problema educativo. E allora una domanda potremmo farla noi: come essere certi che quei bambini con due mamme e due papà cresceranno felici e sereni? Dubbio legittimo, che una persona intelligente come Savarese non dovrebbe ignorare.
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