martedì 6 settembre 2011

 

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Sull’ultimo domenicale de “Il Sole 24 ore” Massimo Firpo è tornato sul ricorrente tema dell’eredità illuminista e del rapporto con la Chiesa. Da una parte “i buoni”, gli illuministi e i loro figli, ai quali dobbiamo «una cultura e una politica fondate sui diritti dell’uomo» e «un mondo di valori fondato sulla libertà e il coraggio di sapere»; dall’altra “i cattivi”, «la Chiesa di ieri e di oggi» che oppone «severe condanne». Firpo accusa anche Benedetto XVI di «aver più volte additato il deprecabile atto di nascita» dell’odierna civiltà proprio nei Lumi – tralasciando tra l’altro il celebre discorso di Subiaco del 2005 nel quale l’allora cardinal Ratzinger aveva ribadito che «è stato merito dell’Illuminismo aver riproposto i valori originari del cristianesimo [...], fin dal principio religione del logos». La tesi lascia perplesso il teologo Pierangelo Sequeri: «Sono categorie che continuiamo a usare per inerzia, come quella dei “secoli bui” per parlare del Medioevo... Ma basti pensare che quella Chiesa “dogmatica” nel Cinquecento e nel Seicento ha riempito l’Europa di meraviglie. Come formula generale, da un intellettuale va semplicemente abbandonata. Se invece vogliamo ragionare sul merito, da un punto di vista teologico cattolico che segue Ratzinger, l’allargamento del logos è l’istanza dell’Illuminismo incompiuta. Il formalismo di una ragione che non vuol sapere nient’altro di ciò che trova in se stessa, e da lì ricostruire tutto il mondo, è stato sconfitto dalla storia». Conferma il filosofo Francesco Botturi: «La domanda sulla compatibilità tra modello illuminista della ragione e antropologia religiosa o, più specificamene fede cristiana, percorre la storia intera della seconda modernità, sia sul fronte laico, sia su quello religioso. Le risposte sono state le più varie. Si pensi alle posizioni di un Leopardi, un Beccaria, un Cattaneo, da una parte e di un Taparelli d’Azeglio, un Manzoni, un Rosmini, dall’altra; tutte così diversamente connotate tra loro, benché confrontabili e interagenti. Una varietà che dipende dalla multiformità storica del fenomeno illuminista stesso, a cui ha corrisposto una variegata sensibilità religiosa e cristiana. La prima osservazione dovrebbe dunque concludere all’impossibilità di ricondurre l’Illuminismo ad uno schieramento bipartito o addirittura a un idealtipo univoco. Questa operazione d’altra parte fu già introdotta da Hegel e ripresa sistematicamente dal neoidealismo italiano allo scopo da dare fondamento storico alla marcia irreversibile e trionfale della metafisica immanentista. Ma appunto si trattò di una grande, e redditizia, strategia cultural-filosofica, ormai “già vista” e teoreticamente esaurita. Certamente la questione illuminista si gioca su un senso nuovo e critico del ruolo della soggettività nell’ambito della cultura, che rimette in discussione i rapporti fra tradizione, libertà e autorità. Questione che una volta posta, sia teoricamente, sia storicamente, con lo sgretolamento delle gerarchie dell’ancien régime, non poté più essere rifiutata. Ma, appunto, già all’interno dell’universo illuminista tale senso critico non significò una rivendicazione della libertà come tale contro l’autorità e la tradizione. Non tutto l’Illuminismo fu giacobino, per intenderci. Illuminista è anche e più vastamente la rivendicazione che tradizione e autorità ricevano il consenso della libertà. Su questa linea lungo il XIX e il XX secolo cattolicesimo e spirito illuminista si sono confrontati in profondità, e proprio per questo in modo non facile e indolore. Un confronto che ha lasciato una traccia indelebile nel magistero papale e conciliare della seconda parte del XX secolo e che trova una sintesi paradigmatica nella Dignitatis humanae sulla libertà religiosa». Anche lo storico Franco Cardini considera ormai fuori tempo massimo la contrapposizione tra illuminati philosophes e oscurantisti clericali: «Polemiche datate. Si dovrebbe smetterla con questo tema del pensiero “corretto” e del pensiero “non corretto”. L’umanità nella storia fa le sue scelte, e poi è chiaro che alla fine ne emerge un codice di valori ritenuti “positivi”: ma è una convenzione. Non abbiamo nessuna ragione scientifica per sostenere che un sistema è migliore di un altro, a meno di affidarsi al determinismo storico o alla legge della giungla, per cui chi vince ha ragione perché vince. Come si fa a parlare del sistema nato dal sistema illuministico come il migliore dei mondi possibili, quando sappiamo tutti che anche il comunismo e il nazismo sono figli dei Lumi? Si può anche dire che sono figli degeneri, va bene: ma quando si ha una casistica storica che ci mostra come non esistano sistemi ottimali, con quale ottica si continua a percorre questa strada? Per non parlare che nel Settecento buona parte della Chiesa cattolica era coinvolta nel processo illuminista e in particolare nelle logge massoniche; soltanto dopo si è sviluppata una dialettica, con la massoneria che ha virato in senso anticattolico. L’Illuminismo è in gran parte legato al mondo cattolico; personaggi come Muratori o Galvani, cattolicissimi, erano nondimeno considerati a buona ragione dei philosophes». Botturi rimarca anche una singolare profondità della riflessione cattolica: «Avendo fatto il suo cammino storico di ridiscussione e di revisione – che non mi sembra abbia tanti confronti – si comprende come la Chiesa del XXI secolo si senta partecipe del “travaglio” illuminista (cioè, quel senso critico della ragione e della libertà, che fa ormai parte della coscienza occidentale) e autorizzata a vigilare sui suoi sviluppi o le sue involuzioni. Il noto dialogo del cardinal Ratzinger con Jürgen Habermas ne è stato un momento paradigmatico: la questione illuminista è stata al centro, non come qualcosa da cui bisognava difendersi, ma di cui bisognava ancora una volta dare un’interpretazione adeguata. Lì un interlocutore del livello di Habermas – che non ha mai fatto suo un certo laicismo “ristretto” nostrano – ha reso possibile un interrogativo a tutto campo sul reciproco insegnamento che possono trarre nel confronto la posizione cattolica e quella illuminista, come portatrici cooperanti di certezza veritativa e di senso critico». E Sequeri indica concretamente dove la convergenza è possibile: «Occorre lavorare sull’allargamento dell’umanesimo, sulla quale la Chiesa ha anzi parecchio da dire; non sempre l’ha fatto, trascinata nella polemica sul logos autoreferenziale, chiuso e immanente. Adesso però i difetti di questo reciproco trinceramento sono sotto gli occhi di tutti, e i tempi sono favorevoli per una fede che si propone di partecipare con i suoi mezzi alla questione dell’umanesimo. Partiamo dai punti sui quali c’è pieno accordo, ma sui quali sorprendentemente si lavora poco: sul fatto che l’individualismo ci sta uccidendo, per esempio; o che il sistema della comunicazione confonda il pluralismo con lo scontro. Il contributo dei cattolici, qui, è imprescindibile».
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