lunedì 9 febbraio 2015
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Breve fu il Medioevo, tra la fine della romanità e la Rinascita carolingia: il rifiorire delle cattedrali e dei monasteri, dei commerci e degli studi, è nuovamente la restituzione alla parola della «leggibilità del mondo», come ha scritto Hans Blumenberg.Il Medioevo sembra già ricordo alla corte di Carlo Magno, tra fine VIII e inizio IX secolo: le strade tornano percorribili, i boschi e i fiumi meno insidiosi; sì che Alcuino può persino scrivere, della sua lettera, alla sua Cartula: «O fogliettino, presto, corri sui flutti oltre il mare,/ giungi coi venti all’impetuosa foce del pescoso Reno/ tuffandoti nel vorticoso flusso delle onde marine/ […] / Verrà forse a incontrarti il mio caro Albrico lungo il fiume» (Alcuino, Carmi dalla corte e dal convento). E Hildegard von Bingen (1097-1179) fece poesia di tutte le feste dell’anno liturgico, Symphonia degli angeli e delle vergini, in dignità di impalpabile lume dipingendo l’umanità di Maria: O flos, tu non germinasti de rore... «O fiore, non sei germogliato da rugiada/ né da gocce di pioggia e neppure l’aria/ t’ha sfiorato: a produrti sboccio di virgulto/ fu il divino splendore».Compimento del trittico profetico e mistico della santa, il Liber divinorum operum scritto nel decennio 1163-1174 completa il Liber vitae meritorum e Scivias, ai quali va aggiunta la Symphonia harmoniae caelestium revelationum. Ma l’opera di Ildegarda è vastissima e si articola dall’enciclopedia (Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum) agli alfabeti artificiali (Lingua Ignota per hominem simplicem Hildegardem prolata), dal teatro sacro (Ordo virtutum) a un esteso Epistolario che è specchio acuto della vita politica e religiosa del XII secolo.Il Libro delle opere divine inscena un’imponente galleria di visioni, un arsenale figurativo che rinnova l’immaginario europeo, vivifica la tradizione del testo miniato con tavole di purpurea e dorata plenitudine che fondano l’arte d’Occidente (basterebbe pensare al magnifico Ms. 1942 della Biblioteca Statale di Lucca, della prima metà del secolo XIII: cfr. l’illustrazione in questa pagina).L’uomo è già – come si vede nella figura – umbilicus mundi, centro dei rapporti che collegano tutta la creazione al disegno divino, perfetta corrispondenza di microcosmo a macrocosmo: «Come l’ombelico è il punto di forza di tutte le viscere che gli aderiscono, e la circonferenza della Terra è il ricettacolo di tutte le altre creature, così tutte le azioni del corpo e dell’anima, sia buone che cattive, riguardano l’anima» (Capitoli della quarta visione della prima parte, LXXVI).Similmente: «La Terra è resa stabile con le pietre e con gli alberi, e l’uomo è stato fatto in maniera analoga; perché la sua carne è come la terra e le sue ossa prive del succo del midollo sono simili a pietre, mentre le ossa che contengono il midollo sono come alberi. Per questa ragione l’uomo edifica la sua dimora in conformità alla propria natura, con la terra, le pietre e il legno» (Quarta visione della prima parte, LXXXII). E appena oltre: «L’essere umano siede infatti sul trono della terra e comanda a tutto il creato, che ad esso obbedisce ed è sottomesso; ed è superiore a tutte le creature» (ivi, C).Non c’è bisogno dunque di attendere l’Umanesimo per ritrovare l’uomo al centro del creato e delle cure divine: perfezione e promessa, poiché le visioni non sono che anticipazioni di una "edificazione" armonica nella plenitudine: «Infatti i princìpi e le finalità dei misteri di cui si è parlato, le loro azioni e i loro significati, hanno un unico scopo, l’educazione dell’uomo […]; tutto ciò che la scienza di Dio indica come conveniente alla salvezza dell’anima lo portano a effetto per la sua edificazione» (Seconda visione della prima parte, XXIX).Sorge già ora – come poi in Dante – la contemplazione della «magnificenza di Dio» che si compiace nelle opere del proprio amore: «Poiché la magnificenza  della sua carità è, nell’eccellenza e nello sfolgorare dei suoi doni, tale da trascendere ogni capacità di comprensione della scienza umana» (Prima visione della prima parte, III).
Ildegarda inoltre, interpretando con ardita libertà il testo del Genesi, toglie alla creazione di Eva dal corpo di Adamo l’abituale "secondarietà", per farne anzi primizia di primavera e redenzione: «Dio creò il maschio dalla terra e lo trasformò in carne e sangue; ma la donna, presa dall’uomo e carne della sua carne, non dovette trasformarsi in qualcosa d’altro. E costoro nello spirito della profezia seppero, per ispirazione dello Spirito santo, che la donna avrebbe partorito il figlio di Dio come un fiore che cresce nell’aria dolcissima» (Seconda visione della terza parte, III). La donna allora diviene, nella Vergine, aurora di un mondo di grazia, tenero "germe" di eternità: «Ondo il dolce germoglio,/ di Lei il Figlio,/ per la porta del suo ventre/ ha aperto il paradiso./ E il Figlio di Dio/ traversandone i segreti/ è sbocciato come aurora» (Symphonia, De Sancta Maria).Ildegarda è una «voce che viene dalla luce vivente», una freschezza sorgiva che attinge al divino, pensato non già come forza e potere, ma come alito «che con la rugiada della divinità stilla, come gocce di miele, la grazia celeste sul suo popolo» (Quarta visione della terza parte, XI). È uno slancio alitante che sale vivificando il desiderio: «Insieme a ogni creatura che cresce, l’anima vola come l’aria in tutti i desideri del corpo per portarli a perfezione» (Quarta visione della prima parte, XV). Le sue visioni sono la radice di un sapere mai spento, che ha rinnovato l’Europa: la chiarità della speranza, il candore del sempre: «un sassolino candido e un nome nuovo» (Seconda visione della prima parte, XII).
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