giovedì 14 febbraio 2013
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​È stata definita «la più importante rivoluzione biologica della storia umana» la scoperta della doppia elica del Dna, avvenuta circa sessanta anni fa, ma quell’espressione appare francamente "esagerata" a un prestigioso filosofo della scienza, del calibro di Evandro Agazzi. Il professore precisa subito il suo pensiero con un giudizio molto articolato. «Parlare di "rivoluzione" mi sembra non appropriato perché la scoperta della struttura del Dna è il risultato di progressi di natura teorica e sperimentale ottenuti da diversi scienziati» spiega Agazzi, che ora – dopo una carriera svoltasi soprattutto alla "Cattolica" di Milano, alla "Normale" di Pisa e all’Università di Genova – insegna all’Università Autonoma Metropolitana di Città del Messico. Il filosofo non intende affatto sminuire la rilevanza di quella che considera un’«autentica scoperta», vuole soltanto farla scendere di qualche gradino dal piedistallo. Per lui l’impresa culminata a Cambridge rappresenta «l’evento più importante della biologia del Novecento». La doppia elica ha offerto una visione originale che ha permesso di interpretare in maniera nuova il complesso fenomeno della vita biologica. Secondo Agazzi, famoso per gli approfonditi studi sul concetto di persona (specie nel campo della bioetica), si è aperto un nuovo spazio concettuale che ha interrotto «l’egemonia meccanicista». Professore, che cosa è cambiato dal punto di vista filosofico con le nuove conoscenze in biologia?«Ai fattori tradizionali, che sono "materia" ed "energia" e che apparivano come costituenti basilari ed esaustivi del mondo naturale, viene ad aggiungersi – in modo quasi prepotente – il fattore "informazione". Si parla del Dna come di un sistema di istruzioni scritte in un codice chimico con un alfabeto che consta di soli quattro segni fondamentali. Le infinite combinazioni possibili fra di loro sono in grado di esprimere messaggi che valgono come precise istruzioni per costruire un intero organismo vivente. In questo modo ritrova il suo posto nella biologia quella visione della vita come processo organizzato e orientato, che la tradizione ha sempre condiviso e che è chiaro anche al senso comune, ma che la lunga egemonia di una visione meccanicista aveva screditato. Direi pertanto che proprio grazie a questa scoperta della struttura del Dna la biologia ha assunto, a partire dalla metà del Novecento, la posizione di scienza dominante nella cultura moderna, subentrando all’egemonia della fisica, che aveva caratterizzato la prima metà del medesimo secolo. E c’è di più. Il Dna ha facoltà che prima erano del tutto inimmaginabili».Che cosa fa, questa super-centralina, oltre che custodire il programma delle cellule?«È una microstruttura digitale capace di correggere gli errori, di duplicarsi, di rintracciare e immagazzinare informazioni; è fornita di un suo linguaggio interno, che ha il potere di sviluppare un intero organismo a partire dai materiali biologici più grezzi. È fuor di dubbio che chiunque consideri questa molecola non può fare a meno di vedere la vita come lo sviluppo di un "disegno" (anche se questa parola è diventata un tabù in seguito all’abuso che ne hanno fatto i difensori americani della dottrina del "disegno intelligente")».Quali sono i veri e sicuri successi di questa scoperta?«Sul piano più strettamente scientifico possiamo dire che fra i "successi" rientra il nuovo impianto dato alla genetica, in quanto ha decisamente incentrato sul Dna il tema dell’ereditarietà biologica, perché nel Dna è contenuta l’informazione ereditaria delle cellule. Sul terreno applicativo, sono da registrare i grandi sviluppi dell’ingegneria genetica, ossia, in sostanza, delle svariate produzioni artificiali che si possono ottenere modificando in modo opportuno alcuni componenti del DNA di certi organismi e ottenendo con ciò nuovi organismi».Quali prospettive aprono questi successi?«Premesso che molte malattie non hanno natura genetica (ossia non sono prodotte da anomalie nei geni), e molte altre possono al massimo trovare certe "predisposizioni" in alcune costellazioni di geni, sta di fatto che esistono patologie le cui cause sono chiaramente genetiche. È evidente che, per queste ultime malattie, solo terapie basate su interventi nei geni possono rivelarsi risolutive. Ma è bene non sottovalutare un equivoco che si annida in questo ragionamento, e che possiamo chiamare "determinismo genico", secondo il quale tutto ciò che accade ad un organismo è scritto sin dall’inizio nei suoi geni. Una visione riduttiva e oltre tutto errata, dal momento che, anche sotto il profilo biologico, le interazioni con l’ambiente influiscono sulla vita di un organismo almeno quanto il suo impianto genetico. Insomma è una strada pericolosa far dipendere dalle condizioni biologiche tutto quanto costituisce l’esperienza di un vivente, compreso l’uomo». Quale "homo sapiens" potrebbe prendere forma sulla scia della maxiscoperta in biologia?«Oggi assistiamo a questa forma di determinismo anche fuori dalla genetica, ad esempio nel meraviglioso campo delle neuroscienze. In questo settore avanzato della ricerca si compiono quasi ogni giorno scoperte molto interessanti. Ma certi autori le assumono come la "prova" che, nell’uomo, tutto (ad esempio, l’autocoscienza, la libertà, il giudizio morale ecc.) è prodotto dalla sua fisiologia. L’altro settore oggi al centro di molte discussioni è l’ingegneria genetica, nella quale una certa propaganda scorge notevoli rischi per la salute umana, dovuti al fatto che vengono prodotti organismi "geneticamente modificati". Come tutte le tecnologie, anche questa presenta molti vantaggi e possibili rischi, ma vanno controllati con misure opportune. È compito generale della società la gestione eticamente responsabile della tecnologia».Quale è il criterio per non sbagliare?«In sostanza, si tratta quasi sempre di "valutare rischi" e di soppesare "vantaggi e svantaggi"; ma, in questo caso, si fa impellente la necessità di rispettare le esigenze fondamentali della persona umana (e si apre il discorso complesso della identificazione di tali esigenze)».(Fine. Le precedenti interviste a Paolo Maria Vezzoni e a Bruno Dallapiccola sono uscite il 29 gennaio e il 7 febbraio).
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