sabato 19 gennaio 2013
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«El año que es abundante de poesía, suele serlo de hambre»: quando c’è poesia in abbondanza, non manca la fame, scriveva Miguel de Cervantes nel Secolo d’Oro spagnolo. Parole che oggi (col Paese iberico immerso in una crisi economica senza precedenti, con circa sei milioni di disoccupati e un indice di povertà in crescita) stridono con i drastici tagli che si sono abbattuti sul settore culturale: dai musei ai teatri.Eppure proprio in questo periodo di grandi difficoltà sociali e finanziarie, tramontati i successi del milagro dell’economia, la Spagna rivendica il suo ultimo tesoro: il castigliano. Con 495 milioni di ispanoparlanti, è la seconda lingua più utilizzata al mondo, dopo il cinese. I dati presentati dall’Annuario 2012 dell’Istituto Cervantes (una fitta ragnatela di centri culturali, diffusi in 77 città e 44 paesi di tutto il mondo) rivelano l’enorme potenziale del castellano, in costante crescita. A differenza del cinese e dell’inglese (in calo), lo spagnolo continua a espandersi. Secondo le proiezioni del direttore del Cervantes, Victor Garcia de la Concha, nel 2013 gli ispanoparlanti saranno 535 milioni, ovvero il 7,5% della popolazione mondiale. Se continuasse questo trend, «fra tre o quattro generazioni il 10% della popolazione del mondo si esprimerà in spagnolo», spiega l’ex direttore della Reale Accademia Spagnola. Il Paese con più hispanohablantes non sarà il popoloso Messico (112 milioni), bensì gli Stati Uniti: è lì «che si gioca» il consolidamento del castigliano come seconda lingua a livello internazionale, afferma De la Concha. Possibile? Basti pensare che Los Angeles è la seconda città per numero di messicani dopo il Distretto Federale (Città del Messico). Senza nulla togliere dunque all’importanza degli Usa e del Brasile, Paese in forte crescita e a caccia di 20.000 professori di spagnolo, l’Istituto Cervantes ha individuato un’altra priorità strategica: l’asse Asia-Pacifico, il «nuovo El Dorado del XXI secolo» per il castigliano. La Cina è il primo obiettivo. Nel gigante asiatico sono 25.000 gli studenti che stanno imparando lo spagnolo in 90 università, ma i professori sono pochi e gli atenei riescono a soddisfare solo il 30% delle richieste. Considerando che nel 2000 gli studenti cinesi di castigliano erano appena 1.500, è comprensibile l’ansia dell’Istituto Cervantes per rafforzarsi nel Paese: potrebbe essere anche un’opportunità per gli spagnoli a caccia di impiego. Al di là dei confini cinesi, anche in India e in Giappone l’interesse per l’idioma castigliano è in aumento. Internet e le reti sociali sono uno dei veicoli più dinamici e possono diventare un prezioso alleato: senza dimenticare che Twitter in Cina è proibito, nel social network lo spagnolo è la seconda lingua più diffusa dopo l’inglese. La sua presenza nella rete si è moltiplicata per otto negli ultimi dieci anni, ma c’è ancora un grande margine di crescita: in America latina gli utenti del web, in media, sono appena 39,5%, contro il 65,6% degli spagnoli e il 71,5% dell’Unione europea. In tutto il pianeta 18 milioni di persone cercano di imparare la lingua del Chisciotte. «Lo spagnolo non è solo della Spagna», ammette De la Concha: «Noi siamo solo la decima parte degli ispanoparlanti». L’America latina è un colosso rispetto alla Spagna. Proprio nella culla dell’ingenioso hidalgo della Mancha, del resto, le polemiche linguistiche sono all’ordine del giorno: il falso conflitto castigliano-catalano è sempre più ideologizzato. E poi c’è il problema demografico: la Spagna è sempre più vecchia e fa sempre meno figli, dunque la sua lingua per crescere deve attraversare gli oceani. In tutto questo l’Istituto Cervantes, che promuove l’insegnamento dell’idioma nel mondo e dipende direttamente dal Ministero degli Esteri spagnolo, è diventato «il gioiello della corona» dell’azione iberica all’estero, secondo De la Concha. In tempi difficili, con un’economia in picchiata e, di conseguenza, un peso internazionale offuscato dai guai finanziari, la Spagna scommette sulla lingua.
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