giovedì 7 febbraio 2013
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Czestochowa, 9 agosto 1991. La città e l’intero Paese sono in fermento: mancano appena cinque giorni alla visita di papa Giovanni Paolo II. Il Pontefice ha già visitato la sua terra natale in altre due occasioni. Stavolta, però, la ricorrenza è speciale: per la prima volta, la Giornata mondiale della Gioventù oltrepassa la "cortina di ferro". Ondate di giovani da tutto il mondo si riversano in Polonia per l’evento. Michal e Zbigniew non possono esserci. La scelta che hanno compiuto undici anni prima li ha portati da qualche tempo lontano, a oltre 11mila chilometri di distanza. In Perù, tra le vette andine brulle e austere della Cordillera Negra, in quella manciata di case e strade sospese a 1.300 metri che prende il nome di Pariacoto, i due padri francescani portano avanti con coraggiosa pazienza la missione che la Chiesa ha affidato loro: testimoniare il Vangelo. Padre Michal Tomaszek - o Miguel, dato che ha "ispanizzato" il nome per renderlo più familiare ai locali - e padre Zbigniew Strzalkowski lo fanno, con la parola e soprattutto con le opere. Per quasi tre anni assistono con fraterna solidarietà gli abitanti, dando concretezza, nel quotidiano, a quell’opzione preferenziale per i poveri profilata nelle Conferenze dell’episcopato latinoamericano di Puebla e Medellín. I frati non si fanno scoraggiare dalla mancanza della luce elettrica, di una strada in grado di rompere l’isolamento, dalla siccità che proprio in quegli anni flagella la cordigliera, da un’epidemia di colera imprevista e, al contempo, prevedibile, date le precarie condizioni igieniche. Neppure la minaccia del terrorismo di Sendero Luminoso, il feroce gruppo guerrigliero pseudo-maoista che si macchia di massacri indiscriminati mentre vagheggia una non meglio definita idea di "rivoluzione", li spaventa. Anche il 9 agosto 1991 sono impegnati a soccorrere, curare, sostenere. Miguel trascorre la serata distribuendosi tra mille appuntamenti: i giovani del coro, gli incontri di formazione coi catechisti, i gruppi di discussione coi ragazzi. Zbigniew sta curando un bimbo quando una raffica di pugni trafigge la fragile porta dello spartano convento. La barriera cede e i "senderisti" fanno irruzione nell’edificio. Miguel e Zbigniew si scambiano una breve occhiata: sanno già che quello sarebbe stato il loro ultimo giorno terreno. Qualche ora dopo, i corpi senza vita dei due francescani, di 31 e 33 anni, insieme a quello del sindaco di Pariacoto, il comunista Justino León Maza, vengono ritrovati sulla strada per Pueblo Viejo: sopra vi è la firma di Sendero. «Sono i nuovi santi martiri del Perù», afferma Giovanni Paolo II quando, a Czestochowa, il 13 agosto, apprende la notizia. Con il Papa in quel momento c’è un altro francescano, padre Jarek Wysoczanski, il "terzo compagno" di Miguel e Zbigniew, sopravvissuto alla strage perché in quel periodo si trova in Polonia per il matrimonio della sorella. E’ lui a raccontare al pubblico italiano, insieme al giornalista Alberto Friso, l’esistenza evangelica e la testimonianza impavida dei due confratelli, nel libro Frati martiri, in uscita lunedì per le Edizioni Messaggero Padova (pagine 230, euro16). Il titolo di per sé sintetizza il punto nodale della vicenda. Perché - come scrive il direttore del "Messaggero di Sant’Antonio", Ugo Sartorio, nella prefazione - quando «questo stile evangelico, cristiano e francescano è tranciato dalla scure della persecuzione, chi subisce tale violenza entra direttamente in intimità e amicizia eterna con Cristo». La causa di beatificazione dei due sacerdoti è stata avviata già nel 1995. Eppure la loro vicenda resta poco nota. Forse perché la memoria di quell’eccidio si è diluita nel calderone di orrori che è stata la "guerra sporca" peruviana: 70mila morti, 15mila scomparsi, migliaia di torturati tra il 1980 e il 2000, secondo la Commissione per la verità e la riconciliazione. La storia dei due "frati dal saio grigio" resta, comunque, emblematica: in controluce si legge il martirio di un’intera nazione. Uno dei tanti, troppi «popoli crocifissi» di cui parlava il gesuita salvadoregno Ignacio Ellacuría, vittima della furia di uno squadrone della morte, il 16 novembre 1989. Non è facile comprendere tuttora, a 19 anni di distanza, le ragioni per cui Sendero Luminoso abbia deciso di accanirsi sui francescani di Pariacoto. «L’interrogatorio» a cui i terroristi sottopongono padre Miguel e padre Zbigniew mentre sono stipati in una camionetta è paradossale. I sacerdoti vengono accusati di «ingannare il popolo, di contagiare la gente distribuendo il cibo imperialista della Caritas». E ancora di «anestetizzarla, frenandone l’impeto rivoluzionario con la predicazione della pace».
Con lo sguardo deformato dall’ideologia, i senderisti - che mescolano la ferocia dei Khmer rossi cambogiani con l’afflato messianico dell’ideologo Abimael Guzmán e che per il loro fanatismo si inimicano la stessa sinistra peruviana - vedono la mano perennemente tesa e accogliente di padre Miguel e padre Zbigniew come una minaccia. Il loro sorriso, solidale e disinteressato, come concorrenza. I loro occhi sereni e colmi di speranza come una costante provocazione. E ne hanno paura, poiché ne intuiscono la forza dirompente. Per questo uccidono. A questo punto il dramma esce dai connotati del Perù sconvolto dalla follia di Sendero, e diventa paradigma di ogni epoca. Anche - o forse soprattutto - la nostra.
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