lunedì 13 aprile 2015
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È morto ieri a Lubecca, all’età di 87 anni, uno degli scrittori più importanti e più discussi della letteratura tedesca del Novecento, Günter Grass, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1999. Era nato nel 1927. Durante la Seconda Guerra Mondiale, a soli quindici anni, aveva tentato di arruolarsi nella Marina del Terzo Reich, ma non riuscendoci due anni dopo entra come volontario nelle Waffen Ss. Catturato dalle truppe americane nel 1945, finisce in un campo di prigionia in Baviera. Queste esperienze, fino ad allora coperte da silenzio, saranno poi ricordate molti anni dopo, nel 2006, nell’autobiografia Sbucciando la cipolla (edita in Italia da Einaudi), la cui uscita è stata preceduta da un’intervista che ha suscitato molte polemiche sulla sua militanza nel braccio militare delle forze armate naziste, visto l’esito che avrebbe poi intrapreso la sua carriera letteraria e per l’area progressista di cui lo scrittore è stato sempre interprete e testimone.Dopo la guerra inizia a far parte del Gruppo 47, un movimento culturale di cui facevano parte giovani letterati e scrittori emergenti tedeschi tendenzialmente di sinistra, con l’intenzione di far risorgere la cultura tedesca «ormai dimenticata e repressa dall’intervento nazista». Tra chi aveva aderito, oltre a Grass, c’erano Heinrich Böll, Ingerborg Bachmann, Peter Bichsel, Paul Celan. Che cosa lo abbia portato a scegliere di essere uno scrittore lo spiega, nella prolusione per la consegna del Premio Nobel, e trova le motivazioni nella «capacità di sognare a lungo a occhi aperti, di fare giochi di parole e di divertirmi in generale con il linguaggio, il bisogno impellente di mentire soltanto per il gusto di farlo, perché essere fedele alla verità sarebbe stato una noia». E in più aggiunge anche l’importanza che la politica ha avuto nella sua formazione, anche letteraria, che lo porta a diventare uno scrittore conosciuto in tutta Europa, diventando un vero e proprio caso letterario alla fine degli anni Cinquanta, quando nell’autunno del 1959, alla Fiera del libro di Francoforte, il giovane autore presenta un romanzo che ha una grande risonanza e per molti versi segna un nuovo inizio della letteratura tedesca: Il tamburo di latta (Feltrinelli). Racconta la storia di un uomo, Oskar, dal fisico deforme, un nano, che è stato rinchiuso in un manicomio e con il suono ripetuto all’infinito del tamburo rievoca il suo passato, la vita nella Germania del 1900 intrecciata alla storia della sua famiglia. Ne esce un romanzo quasi surreale, segnato da un’inedita e innovativa capacità di protestare contro la realtà del suo tempo, di farsi sentire da un padre che ormai odia, di mostrare il suo punto di vista e avere un posto nel mondo. La Germania occidentale sembrava finalmente, dopo anni di immobilismo, intenzionata a interrogarsi senza remore sul più recente passato, a mettere in discussione certezze politiche, sociali e culturali. Di questo risveglio Grass è uno dei protagonisti, anche grazie ai due romanzi che seguono: Gatto e topo e Anni di cani, che compongono col Tamburo di latta la "trilogia di Danzica", scritta in sette anni e mezzo. Lo scrittore aveva ricordato quegli anni, come «un’epoca di risveglio, un tempo in cui riscoprii la lingua tedesca danneggiata dal periodo nazista e non volevo permettere che la si condannasse per la sua ricchezza e flessibilità. Fu un processo di scrittura continuo e una svolta per me». Günter Grass è sempre stato un autore controverso, alternando l’impegno della scrittura e il dibattito politico, anche se la sua opera narrativa ha sempre voluto mettere in discussione passato e presente del suo paese. È assai interessante l’operazione letteraria con cui decide, all’indomani dell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura, di salutare il secolo che ha vissuto intensamente soprattutto nella sua seconda parte, con un libro, Il mio secolo (Einaudi) che è una raccolta di cento racconti, condotti tra sarcasmo e levità, per dire addio ad un secolo, in un modo assolutamente originale e d’autore. Aveva detto l’autore: «Non ho voluto dedicare ogni racconto del libro a un fatto strettamente di storia politica. Più spesso ho fatto parlare persone comuni su argomenti anche leggeri, banali, dalla moda dei cappelli di paglia di inizio secolo alla evoluzione dei balli, dalla partita Germania-Ungheria del ’54 ai trionfi di Boris Becker e Steffi Graff: in fondo non ci sono state soltanto guerre in questo secolo. Del resto mi piaceva dar la parola a quelli che la storia l’hanno subita, a quelli che non hanno mai avuto voce in capitolo, i sacrificati, quelli cacciati oppure i voltagabbana che si sono adeguati per opportunismo».Altri romanzi assai significativi che indicano punti di riferimento del suo percorso letterario possono essere considerati La ratta del 1986, storia fortemente apocalittica, sulla fine della società contemporanea e Il passo del gambero, il suo ultimo romanzo, edito nel 2002, con cui lo scrittore, ricostruendo l’affondamento della nave da crociera nazista usata negli ultimi anni della guerra per trasportare i cittadini tedeschi che fuggivano dall’invasione russa nell’est, torna agli ambienti e ai personaggi della "trilogia di Danzica", senza mai dimenticare di chi fosse la responsabilità primaria del conflitto. Sempre fedele a quella che riteneva una necessità della scrittura, quella di «una letteratura che faccia vedere senza pietà i misfatti dei potenti e mostri ai giovani i limiti delle utopie radicali. C’è sempre bisogno dell’arte che, come Oskar col suo tamburo, svegli le coscienze intorpidite».
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