sabato 13 settembre 2014
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20 giugno 1917, il mondo registra il terzo anno di guerra, i soldati combattono ancora nelle trincee e nelle cime delle montagne. Nelle retrovie, però, c’è chi scrive un’altra pagina di storia, fatta di carità, prossimità e di rispetto per la dignità umana, quella del maresciallo maggiore della sanità militare Augusto Ciarpaglini. Dal 1917 al 1922 Ciarpaglini accompagnò a casa gli ultra mutilati e i grandi invalidi di guerra ricoverati presso l’Ospedale Territoriale n. 6 di Rovezzano. Pur di far riabbracciare ai ragazzi, poco più che ventenni, le proprie famiglie, Ciarpaglini percorse dal nord al sud dell’Italia 65.406 chilometri. Lo fece in automobile, in treno, via mare, a piedi, in carrozza e con mezzi di fortuna. L’aspetto sanitario non era facile durante la Grande Guerra: “A ridosso delle prime linee si trovavano i Posti di Medicazione, infermerie campali sistemate il più possibile al riparo dal fuoco nemico, dove venivano prestati i primi sommari soccorsi – spiega Achille Maria Giachino, medico e presidente dell’Associazione nazionale sanità militare - in seguito i feriti raggiungevano gli Ospedaletti da Campo dove il personale medico della Sezione di Sanità operava quelli più gravi; da qui proseguivano verso gli Ospedali da Campo sistemati in tendopoli o baracche, ed in seguito verso i vari Ospedali Divisionali – aggiunge Giachino - . Tutto il sistema collassò durante le tragiche estati di guerra, quando migliaia di soldati stanchi, con le ferite infette, scendevano ogni giorno dalle prime linee, diretti agli Ospedaletti da Campo. La mortalità era altissima, dovuta soprattutto a tetano, cancrena, emorragie. I feriti agli arti erano i più fortunati: per loro la speranza di sopravvivere, dopo l’amputazione, era abbastanza elevata – sottolinea il presidente dell’Anmi - . Coloro i quali presentavano invece ferite all’addome non venivano neppure trattati: la morte sarebbe sopraggiunta in poco tempo in seguito a dissanguamento o ad infezione per perforazione dell’intestino. I traumatizzati al cranio ed al torace, se le ferite non erano troppo devastanti, avevano invece un indice di sopravvivenza tra il 20 ed il 30 per cento”.

Il Corpo di Sanità Militare, coadiuvato dalla Croce Rossa e dal Sovrano Ordine di Malta, dovette far fronte a difficoltà a volte insuperabili che richiedevano ardue prove di capacità, di resistenza e di abnegazione, derivanti da una guerra quanto mai micidiale, nella quale, al rapido logorio delle forze dei combattenti, si aggiungeva l’impiego di nuovi e sconosciuti mezzi di offesa, ad esempio i gas. La tragedia della guerra, il dramma di questi giovani lacerati nel fisico ma anche nella mente da quella che Benedetto XV chiamò “l’inutile strage” fu toccata con mano dal maresciallo Ciarpaglini.

Nei suoi 168 viaggi toccò le sofferenze di giovani come il calabrese Francesco Mammone, rimasto paralizzato e costretto sulla sedia a rotelle, oppure Marcellino di Envie, in provincia di Cuneo, cieco e mutilato delle braccia; e il soldato bombardiere Domenico Poli di Bassano. Tutto ciò fu annotato minuziosamente da Ciarpaglini in cinque quaderni manoscritti e redatti con impeccabile grafia che raccontano i suoi 168 viaggi. Diari recuperati grazie all’Associazione culturale di ricerche “Pico Cavalieri”, l’Associazione nazionale della sanità militare Italiana e alla famiglia Romani, parente di Ciarpaglini. Nella pubblicazione a cura di Donato Bragatto, Lorenzo Cappellari, Achille Maria Giachino dal titolo “I diari del maresciallo Augusto Ciarpaglini 1917-1922” (edizioni Fr) il racconto dei viaggi di questo “buon samaritano” del Novecento.

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