mercoledì 10 aprile 2013
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È uno scontro esplicito e senza mezzi termini quello tra padre Agostino Gemelli e il filosofo Giovanni Gentile, il 29 maggio 1929 davanti alla platea dei filosofi italiani riuniti a Roma per il loro congresso. Per il rettore dell’Università Cattolica «nulla vi è di meno religioso, di meno cristiano del pensiero del Gentile e degli idealisti». E al filosofo che l’aveva interrotto affermando «Il nostro pensiero è cristiano», Gemelli – pur riconoscendo all’ex ministro fascista della Pubblica Istruzione il merito di aver introdotto un sia pur timido aspetto di libertà nella scuola – contestava di aver portato proprio nella scuola il veleno idealista. «La vostra opera quindi è stata di scristianizzazione del nostro Paese, opera tanto più grave e deleteria perché compiuta nella scuola media dalla quale deve uscire la classe dirigente del domani». Gentile interveniva allora «per fatto personale» contro le critiche «arroganti e provocatorie» di padre Gemelli per ribadire che la sua era la filosofia più spiritualista apparsa fino a quel momento, aggiungendo in modo quasi provocatorio: «Professor Gemelli, senza l’idealismo voi non sareste qui; e come non ci sarebbe l’Università Cattolica, così non ci sarebbe neppure quel movimento neotomista che voi con tanto ardore venite proponendo». Il rettore non accettava di passare per un ingrato (il riconoscimento statale dell’ateneo del Sacro Cuore era avvenuto con Gentile ministro) verso il filosofo. Ma questo non poteva portare i cattolici italiani «a tapparsi la bocca, né costringerci a dire bene della sua filosofia e del suo attualismo… Io ritengo l’idealismo in genere, e in ispecie l’attualismo, funesto alla vita cristiana del nostro popolo, più e più dello stesso materialismo e del positivismo, del quale ha preso il posto nella scuola e nell’apprezzamento generale». Il duro scontro pubblico, all’indomani della conciliazione tra l’Italia e la Santa Sede (con i consensi e gli entusiasmi che aveva suscitato), conclude l’ampio saggio di Luciano Pazzaglia, docente alla Cattolica, pubblicato nell’ultimo numero degli «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche» (La Scuola); vi si illustra la prima parte di un corposo carteggio inedito intercorso dal 1911, quando i due intellettuali si incontrarono a Cosenza, fino al 1929 tra Agostino Gemelli e Giovanni Gentile (la successiva corrispondenza, fino al maggio 1943, sarà documentata in un secondo volume). Dal saggio emerge come, nel percorso che avrebbe portato alla nascita dell’università di piazza Sant’Ambrogio, all’avvento del fascismo e all’instaurazione dello Stato «etico», si confrontarono – e anche successivamente scontrarono – gli esponenti della filosofia neo-scolastica (con l’apposita rivista fondata nel 1909) e quelli dell’idealismo, in uno scenario riguardante un nodo cruciale della società italiana: la formazione della classe dirigente e anche l’egemonia culturale del Paese. Il saggio di Pazzaglia, se da un lato documenta l’apprezzamento e anche il sostegno di Gemelli per le riforme scolastiche di Gentile (dall’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nella scuola elementare all’introduzione degli esami di Stato nella scuola media) e anche per alcuni articoli sulle università libere, dall’altro rileva una crescente divaricazione dalla concezione attualistica – che il filosofo intendeva come vera e propria religione. Idealismo e cattolicesimo erano ormai incompatibili. Proprio i Patti Lateranensi, che Gentile avvertiva come una rinuncia del fascismo allo Stato etico, lo confermano. Già nel maggio 1929 Mussolini affermava con forza alla Camera che lo Stato «è cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto, esclusivamente ed essenzialmente fascista». Era il nodo cruciale dell’educazione e della formazione dei giovani, che il regime contestava alla Chiesa e che Pio XI non poteva in alcun modo accettare. Pazzaglia scrive che lo stesso papa Ratti avrebbe «ordinato» a Gemelli di utilizzare il congresso dei filosofi per chiarire le posizioni dei cattolici. Il rapporto con Gentile era ormai rotto. Il 22 giugno il filosofo scriveva a Gemelli e gli chiedeva conferma di una «diceria» secondo la quale il Sant’Offizio stava varando un decreto contro la sua filosofia. Il rettore della Cattolica rispondeva di non sapere «se vi sia possibilità o meno di una condanna», ma lo invitava a chiarire la sua posizione: «Che Ella, nella sua coscienza si consideri cattolico e cristiano, io non lo contesto, ma la di Lei concezione filosofica non può essere ammessa da chi, come me, ritiene che suprema maestra, in fatto di fede è la Chiesa cattolica». Dal giugno 1929 al febbraio 1931 Gemelli e Gentile non si sarebbero più scritti. Il 22 giugno 1934 le opere di Gentile furono condannate.
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