martedì 16 settembre 2014
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Il suo sguardo si posava sulle persone con dolcezza, accompagnando le parole pronunciate con calma riflessiva. Ho conosciuto Luciano Erba come persona subito dopo che come poeta e studioso, con l’occasione di un’intervista per questo quotidiano, sul tema delle stagioni viste dai poeti. La sua stagione era l’inverno: un inverno fecondo, cordiale, vissuto affettivamente attraverso le luci natalizie sulla neve, i veli della nebbia sui rami degli alberi nei parchi di Milano, l’attesa della primavera, promessa in ogni breve giornata. Luciano Erba mi aveva ricevuta nella sua casa milanese, e dopo l’intervista avevamo chiacchierato piacevolmente, grazie alla sua conversazione raffinata e intervallata da piccoli exploit di pacato umorismo. Mi aveva raccontato di sé, della sua famiglia, un piccolo universo femminile, e prima di salutarci mi aveva fatto conoscere la sua cagnolina, che aveva da poco avuto una bella cucciolata e che lui e sua moglie stavano curando con le vitamine, per aiutarla nell’allattamento. Cure affettuose che Erba prodigava alla sua poesia, al suo insegnamento (era professore di Letteratura francese e Letterature comparate all’Università Cattolica di Milano) e alle sue traduzioni, da poeti amati e diventati suoi compagni di viaggio. Tanto che ora, per ricordarne il compleanno, Franco Buffoni (in collaborazione con Lucia Erba e Anna Longoni) cura per Interlinea un suo libro di traduzioni del 1991, arricchendone i contenuti originali: I miei poeti tradotti. Testi originali e traduzioni da Cendrars, Claudel, De Sponde, Frénaud, Gautier, Gunn, Hugo, Jacob, Machado, Michaux, Neruda, Ponge, Racine, Reverdy, Rodenbach, Saint-Amant, Swenson e Villon (pagine 312. Euro 18,00). Lo presenterà, insieme a Giuseppe Langella e Marisa Verna dell’Università Cattolica, e all’editore Roberto Cicala, a sua volta studioso della poesia di Erba, domani alle 17.30 alla libreria Vita & Pensiero proprio dell’Università Cattolica di Milano, in cui tanto tempo Erba aveva trascorso. Libro dedicato idealmente alla moglie del poeta, Mimia, e alle sue figlie, con il rammarico di non poterne festeggiare l’uscita con lui il giorno 18 settembre, la sua data di nascita: Erba avrebbe compiuto novantadue anni, se non si fosse spento nell’estate del 2010. Nel libro ci sono traduzioni da molti poeti francesi, come Villon, Claudel, De Sponde e Gautier, ma anche da Neruda e Machado, con un’apertura totale alla grande poesia che ha rappresentato il mondo in un modo che Erba sentiva “suo” tanto da esprimere nell’aggettivo possessivo del titolo questo senso di appartenenza. Infatti, come avviene per le grandi traduzioni d’autore, alcuni di questi testi rinascono nella trasposizione in lingua italiana, assumendo una nuova vita autonoma. È l’effetto che il curatore definisce delle “traduzioni-testo”, e che avviene raramente, ma che quando si realizza fa assistere alla nascita di un nuovo libro d’autore, come nel caso, si potrebbe aggiungere, dei Lirici greci di Salvatore Quasimodo. Lo stesso Erba ci offre una via per interpretare le sue scelte come traduttore, definendosi un bricoleur, con l’autoironia che lo contraddistingue, ma pur sempre nel senso nobile del termine: un artigiano esperto e attento, un cultore della parola che cerca di esaltarne il valore profondo. Possiamo vederlo leggendo le poesie di questo libro: non c’è solo accuratezza formale, ma una forza intrinseca, e nel contempo una leggerezza dei versi che solo chi fa a sua volta poesia può trasmettere a un testo tradotto. Nel rispetto amoroso per il testo originale, sempre: la libertà del traduttore non calpesta l’originale, ma lo esalta. Così in Villon le espressioni colloquiali sono attualizzate, in modo da riprodurre la vivacità di un dialogo aperto con i lettori: «Ditemi un po’» è la frase anteposta alle domande sulle «belle dame di un tempo che fu». La scelta della poesia Natale di Max Jacob, dove il «nuovo Nato» rivela profeticamente la sua grandezza, conferma l’interesse di Erba per i temi religiosi. Un piccolo capolavoro la poesia di Machado La plaza y los naranjos encendidos, che diventa Mi sorride la piazza: Erba ne ricrea i colori e il movimento dei bambini che danno vita «ai cantoni delle morte città» e fanno «sorridere» anche la piazza stessa. E così via leggendo, ogni volta con intensità e passione, oltre che con rigore filologico e precisa attenzione metrica.
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