giovedì 18 ottobre 2012
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Nella sua tagliente e brillante vivisezione dell’attuale stato di diseguaglianza, Daniel Dorling, docente di Geografia umana all’Università di Sheffield, suggerisce enfaticamente che «la diseguaglianza sociale nei Paesi ricchi persiste a causa della continua credenza nei dogmi dell’ingiustizia, e per la gente sarebbe un trauma scoprire che potrebbe esserci qualcosa di sbagliato nel tessuto ideologico della società nella quale viviamo». Questi dogmi vengono sempre difficilmente verificati, controllati e meditati; sono le tacite, raramente articolate credenze attraverso le quali pensiamo, senza renderci conto che in questo modo ci formiamo opinioni che non hanno altro fondamento se non queste stesse credenze. Prendiamo per esempio l’affermazione fatta da Margaret Thatcher nel 1970, durante una sua visita negli Stati Uniti: «Una delle ragioni per cui noi apprezziamo gli individui non è il fatto che siano tutti uguali, ma il fatto che siano tutti differenti. Quel che voglio dire è: lasciamo che i nostri bambini diventino grandi – e qualcuno più grande degli altri, se ne è capace. Perché noi dobbiamo costruire una società nella quale ogni cittadino possa sviluppare il suo intero potenziale, sia per il proprio beneficio personale, sia per la comunità nel suo insieme». Va notato che la premessa cruciale – quella che rende l’affermazione della Thatcher pressoché autoevidente, la supposizione che “la comunità nel suo insieme” sia avvantaggiata se ogni singolo cittadino persegue “il proprio beneficio personale” – non viene analizzata esplicitamente, ma anzi assunta come assodata. «Il potenziale di abilità doveva essere trattato come l’altezza», osserva acidamente Dorling, e aggiunge che così facendo viene normalizzata la supposizione secondo la quale individui differenti hanno abilità differenti per natura, piuttosto che una diversa capacità di sviluppare il proprio potenziale perché si trovano in diverse condizioni sociali (in altre parole, noi abbiamo differenti abilità, così come abbiamo differenti altezze, determinata fin dalla nascita, e nelle mani dell’uomo rimane poco o nulla per cambiare questo verdetto del destino). Questa è stata una delle ragioni per cui, alla fine del secolo scorso, «è stata accettata la strana idea che agendo egoisticamente, in qualche modo si beneficiano gli altri».Non è, comunque, un singolo “dogma dell’ingiustizia” ciò che secondo Dorling puntella l’esistenza della diseguaglianza. Cita diverse altre tacite e latenti convinzioni che, sebbene alla prova dei fatti falliscano tutte o non abbiano nemmeno avuto occasione di essere riviste criticamente, continuano a formare ostinatamente le nostre percezioni, i nostri atteggiamenti e le nostre azioni: la credenza che l’elitarismo sia efficiente (poiché il benessere dei più cresce maggiormente con la promozione delle abilità di pochi), che l’esclusione sia tanto normale quanto necessaria per la salute della società mentre l’avidità è utile per il miglioramento della vita, che la disparità sia inevitabile e imprescindibile... È questa collezione di false credenze che sottostà alla nostra miseria collettiva, causata dalla volontaria sottomissione alla diseguaglianza sociale.È tuttavia sufficiente cambiare la mentalità di una persona per cambiare la sua strada, e cambiare la sua strada è sufficiente per cambiare la realtà e le sue crude esigenze, sotto le quali agiamo? Che sia così o no, resta il fatto che noi apparteniamo alle specie dell’<+corsivo>homo eligens<+tondo> – animale che sceglie – e che nessuna pressione, per quanto coercitiva, crudele e indomabile, ha mai potuto sopprimere completamente la nostra libertà di scelta, né quindi determinare univocamente la nostra condotta. Noi non siamo palle da biliardo che si muovono sul tavolo assecondando i movimenti di chi tiene in mano la stecca; noi siamo, per così dire, predestinati a essere liberi – e per quanto magari vogliamo ardentemente liberarci dai tormenti della scelta, noi ci confronteremo sempre con più di un modo di procedere, e la scelta tra le diverse possibilità è lasciata a noi. Ci sono due fattori che, insieme, formano le nostre scelte, il nostro modo di vivere e la traiettoria della nostra esistenza. Una è il “destino” – un insieme di circostanze sulle quali non abbiamo alcuna influenza –, le cose che “ci capitano” (per esempio, il luogo geografico e la posizione sociale nei quali siamo nati e l’epoca della nostra nascita); l’altra è il nostro carattere, ciò su cui possiamo esercitare la nostra influenza, da esercitare e coltivare. Il “destino” determina lo spettro delle nostre realistiche opzioni, ma è il nostro carattere che decide tra di esse.Naturalmente, questo spettro di opzioni “realistiche” determinato dal “destino” è differenziato del loro grado di “realismo”. Alcune sono, o perlomeno sembrano, più facili da cogliere e da perseguire di altre; alcune sono o appaiono una scommessa più sicura e/o una scelta più attraente, e così le loro possibilità di essere scelte sono tanto più grandi quanto le loro alternative richiedono più tempo, più sacrificio o più rischi di pubblica condanna o di perdita di prestigio. La distribuzione delle probabilità per le varie opzioni di essere scelte appartiene anche al regno del “destino”: noi viviamo in un ambiente sociale “strutturato”, e la “struttura” consiste precisamente nella manipolazione delle probabilità – organizzando la distribuzione di premi e castighi in modo da rendere la probabilità delle scelte di volta in volta molto più alta o molto più bassa di quanto sarebbe altrimenti. La “realtà”, in definitiva, è il nome che diamo alla resistenza che il mondo esterno oppone ai nostri desideri... Tanto più risulta alto il costo sociale di una determinata scelta, tanto più bassa è la probabilità che venga compiuta. E i costi in base ai quali chi opera una scelta viene indotto a misurarsi in maniera assai concentrata sono pagati per lo più con la moneta dell’accettazione sociale, dell’avanzamento e del prestigio. Nella nostra società questi costi sono distribuiti in modo che la resistenza alla diseguaglianza e alle relative conseguenze (di natura sia pubblica sia personale) divenga estremamente difficoltosa e quindi assai improbabile da sottoscrivere e perseguire rispetto alle alternative costituite dalla placida sottomissione o dalla collaborazione volenterosa. E i dadi, che noi – abitanti di una società capitalista e individualizzata – non possiamo fare altro che continuare a gettare nella maggior parte e forse in tutte le partite della nostra esistenza, sono in effetti sempre truccati a favore di quanti traggono o sperano di trarre profitto dalla diseguaglianza...
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