martedì 6 gennaio 2015
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Il romanticismo si rivolge a Gesù Cristo innanzitutto con il sentimento nostalgico e attraverso le immagini e l’immaginazione. All’origine può porsi il sogno, l’incubo macabro tratteggiato da Jean Paul nel Discorso del Cristo morto dall’alto dell’edificio del mondo, annunciante che non vi è nessun Dio. Qui si racconta a tinte fosche dell’ascensione del Cristo morto al Cielo. Colà cerca il Padre suo e nostro, tuttavia non trova Dio ma soltanto il vuoto, in cui riecheggia il suo sconsolato pianto terreno, nel dire rivolto ai defunti che lo interrogano sul suo peregrinare celeste: «Non c’è Dio alcuno» – eco del grande grido sul monte Golgota: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». È certo soltanto un terribile incubo, il cui protagonista si risveglia rendendo grazie a Dio. Tuttavia il sogno ateo, inizialmente trascurato in ambiente germanico, espunto dell’irenico epilogo viene tradotto in francese e pubblicato da Madame de Staël, dando il largo a una serie infinita di emuli e rimaneggiatori. Sino al ritorno in lingua tedesca con l’epigono più noto, Nietzsche, che lo reinterpreta nel «folle uomo» annunciante al mercato la «morte di Dio».Il maggior interprete vivente dell’idealismo e del romanticismo tedesco, ideatore della “cristologia filosofica” e fine conoscitore delle letterature europee, il padre gesuita Xavier Tilliette, nel volume Gesù romantico, ora tradotto in italiano da Antonio Sabetta (Lateran University Press, pagine 524, euro 40), svolge un approfondito e avvincente percorso fra filosofi e poeti, romanzieri e pittori, teologi e musicisti che abbiano avvicinato la figura del Cristo in prospettiva romantica. Dando altresì una copiosa silloge di testi letterari, anche poco noti, sul tema.Non semplice anche per Tilliette è una definizione e delimitazione stringente del romanticismo. Vi è per il padre gesuita propriamente un romanticismo «eterno»: più che fenomeno del tempo stato spirituale, imperitura componente dell’anima in quanto melancolicamente nostalgica di “qualcos’altro”. Il «romanticismo eterno» come «inquietudine e nostalgia, aspirazione infinita e accesso al Geisterwelt», al mondo degli spiriti, il quale «ha trovato un momento o un impatto privilegiato nella Germania dal 1790 al 1820 circa, durante l’epoca napoleonica, e nella Francia dal 1810 al 1850».Ecco che abbiamo allora una disamina dei romantici tedeschi, da Herder e Klopstock a Schelling, Schleiermacher e il circolo jenese, sino ai grandi interpreti di Cristo e poeti Hölderlin e Novalis, veri e propri «aedi del Cristo». A risvegliare l’animo tedesco dalla riduzione morale di Gesù a maestro, Lehrer, prodromo di più attualizzanti e meno educative figure quali l’“animatore”, è la visione nella Galleria di Dresda, nel 1798, della Madonna Sistina di Raffaello e L’adorazione dei pastori del Correggio. È il Gesù bambino che appare all’animo romantico, nella sua luce sovrannaturale, capace di ricordare infinitamente al mondo il suo anelito struggente e superiore assieme, misterioso e rivelato. In Correggio è il corpo stesso infante, l’incarnazione a rifulgere sovrannaturalmente nell’oscurità del mondo. Per Raffaello vale l’intensità di sguardo, e del bimbo e della madre, risvegliati dal sovraumano. D’un tratto scompare il veto illuminista e la stessa ragione idealista, al suo culmine, s’apre nella sua infinita ricerca del vero alla rivelatività. Avremo così il Cristo kenotico di Hölderlin, preparato dagli dèi greci, come anche nel tardo Schelling. O i tratti femminili e sofianici del Salvatore novalisiano.Volgendosi al romanticismo «della sensibilità, del cuore fasciato» – piuttosto uno «stato d’animo« che uno «stato dello spirito» –, quello francese, meno “intellettualizzato” rispetto al tedesco, Tilliette si dedica a confessare la passione cristica di una serie sterminata di autori, soprattutto letterati, di lingua francese: Chateaubriand, Saint-Martin, Hugo, Lamennais, De Vigny, Lamartine, Musset, Nerval, Renan, Michelet, Quinet, Sand, Balzac, Saint-Beuve, Gautier, Lequier, De Maistre e tanti altri ancora. Oltre ai poeti, in cui per eccellenza si manifesta il romanticismo, abbiamo qui in particolare il farsi romanzo del romantico, il discendere nel mondo reale del mondo immaginario e sognante. Sia nell’incarnazione della figura di Cristo in personaggi comuni e piccoli, poveri e semplici, umili e sofferenti eppure non del tutto sconsolati nelle loro condizioni miserabili, sia nella sua esiziale evacuazione, sino al nichilismo quotidiano.Il filosofo e teologo gesuita passa quindi ancora all’esame cristico i romanzi di Dostoevskij, cristocentrici non solo a partire dalla sua folgorante, attonita visione della Deposizione di Holbein a Basilea, nel 1867. O i nostri Manzoni, Pellico e Foscolo, i romantici inglesi, Blake e Coleridge in particolare, spingendosi sino a Nietzsche e Rozanov, Barbey d’Aurevilly, Newman e Wagner, con infine una successione di rapidi colpi di sonda agli artisti figurativi e compositori musicali.Ma che ne è oggi del Cristo romantico, umanamente incarnato nelle sofferenze del mondo e proprio perciò capace di dare speranza alla nostalgia per l’infinità di Dio, escatologico bene? Lasciamo l’ultima parola, severa ma non desolata e sconsolata, ancora a Xavier Tilliette: «Ahimè, ci basta aprire gli occhi, all’alba del sec. XXI, mentre il cristianesimo calpestato respira a fatica; una cultura di morte e di assassinio si è insediata, potente, tentacolare, sostenuta dalla canzonatura e dal sarcasmo dei mezzi di comunicazione. È la perversione generalizzata, che un umanitarismo vergognoso si sforza di arginare. Il mondo senza Dio, ne conosciamo il volto, l’impronta del Cristo schernito, è attualità quotidiana. Su questo fondo tenebroso i pochi cristiani persi nella massa umana si domandano con il Vangelo se il figlio dell’uomo, quando tornerà, troverà ancora sulla terra la fede e uomini vigilanti».
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