mercoledì 16 maggio 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
La Chiesa e i liberalismi<+tondo> (Edizioni Ets, pagine 138, euro 12,00) è il più recente lavoro di Raimondo Cubeddu, un intellettuale i cui studi su momenti e autori della tradizione politica liberale sono noti e apprezzati, e non da oggi, a livello internazionale. Nel libro, incentrato sui difficili rapporti tra la Dottrina sociale della Chiesa cattolica e la filosofia politico-economica liberale, vengono con lucidità affrontate questioni nevralgiche come quelle, tra altre, legate alle possibilità create dagli sviluppi delle biotecnologie, o come quelle connesse al relativismo, alla secolarizzazione, alla laicità dello Stato, alla giustizia sociale e al ruolo dell’etica nel mercato, al ritorno del Diritto naturale e al multiculturalismo. Si tratta di un libro teso, nel rispetto critico della tradizione della Chiesa, alla difesa delle ragioni della libertà e dignità della persona umana, per cui non poche sono le tesi pienamente condivisibili. E tuttavia penso valga la pena porre a Raimondo Cubeddu qualche interrogativo su alcune sue posizioni che, perlomeno che si possa dire, appaiono provocatorie.«Per il liberalismo classico - scrive, dunque, l’autore - lo stato (in questo caso con l’iniziale minuscola) o government, non ha che il compito di garantire i Diritti naturali (Natural Rights): vita, libertà e proprietà. Per la tradizione liberale come intesa dai cosiddetti Liberals, invece, lo Stato (preferiscono scriverlo con l’iniziale in maiuscolo, e già questo dice abbastanza) ha il compito realizzare i diritti: sociali, umani, etc. (Social e Human Rights) tramite una limitazione dei diritti di proprietà (Property Rights) e la loro finalizzazione al raggiungimento della giustizia sociale». In questo secondo caso, prosegue Cubeddu, «gli spazi del potere politico aumentano, si pone come centrale il problema di chi e in che modo lo si debba esercitare, i margini della libertà individuale si riducono ed aumenta la coercizione».Da qui la critica centrale e più insistente che Cubeddu rivolge alla Chiesa, in quanto «ciò che la Chiesa ha a lungo sottovalutato - sovente perché quelle limitazioni, se tese al raggiungimento di finalità etiche, non le dispiacevano affatto - è che l’aumento delle funzioni attribuite allo stato finisce per comprimere (o per "regolamentare") anche lo spazio della libertà religiosa. E questo perché non è affatto detto che in un regime democratico dei nostri giorni i contenuti della giustizia sociale e delle politiche pubbliche debbano necessariamente coincidere con quelli che attribuisce loro la Dottrina sociale della Chiesa». La Chiesa, insomma, avrebbe via via scelto cattivi interlocutori: interventisti e statalisti. È questa una tesi che - per quanto plausibile di principio - andrebbe tuttavia esaminata con scrupolo nei singoli e determinati casi storici. E una domanda resta inevitabile: e dall’altra parte gli interlocutori sono stati e sono sempre e comunque buoni interlocutori della Chiesa? Essenziale per la Chiesa è la questione della solidarietà e se un liberale è attento ai diritti di proprietà, egli - per dirla con lord Acton - non può ignorare i diritti della povertà, e ciò se non altro perché «ostacoli alla libertà sono non solo le oppressioni politiche e sociali, ma anche la povertà e l’ignoranza». Dunque: sulla scia di grandi difensori della libertà come, tra altri, Einaudi e Hayek, lo stato, cioè il pubblico, dove socialmente necessario e la logica della competizione ovunque storicamente possibile. Liberali e solidali: la "Grande Società" non solo può essere solidale ma lo deve anche essere.In coerenza con le sue precedenti riflessioni, Cubeddu dichiara il più convinto apprezzamento nei confronti delle idee politiche ed economiche sia della Scuola francescana che della Seconda Scolastica, e precisa che, dopo questi rilevantissimi contributi, «la Chiesa Romana non ebbe la forza di elaborare nessuna filosofia politica, o dottrina sociale, che potesse contrastare la diffusione di una filosofia politica moderna la quale, nelle sue componenti più innovative e destinate a maggior fortuna, era, non dimentichiamolo, sostanzialmente anti-cattolica, se non addirittura atea». La Chiesa cattolica, in breve, si sarebbe ritratta dalla comprensione del mondo dell’economia «rifugiandosi in una sua valutazione secondo parametri etici». E l’approdo di simile posizione Cubeddu lo vede nel fatto che «la soluzione ai mali che affliggono l’Occidente di oggi non può essere quella di un ritorno alla Dottrina sociale della Chiesa». Ma qui, chiedo a Cubeddu - il quale si muove nella scia del liberalismo classico - quale istituzione più della Chiesa cattolica ha difeso e difende - per esempio, in tutte le Encicliche sociali - i due fondamentali cardini posti a presidio della libertà e della dignità dell’individuo, vale a dire la proprietà privata e il principio di sussidiarietà?
Ma c’è di più, perché convinzione di Cubeddu è che il liberalismo non è affatto una forma secolarizzata di Cristianesimo. Ebbene, nel libro uscito nel 2003 <+corsivo>Fede, verità e tolleranza<+tondo>, l’allora cardinale Ratzinger faceva presente che «fino a Cristo l’identificazione di religione e Stato, divinità e Stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo Stato. Poi l’Islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso [...] Ma con Cristo troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo [...] E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell’imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo Stato». La realtà è che il messaggio cristiano desacralizza il potere politico, rende liberi da ogni idolatria. Ratzinger aggiunge: «Io penso che la visione liberaldemocratica non potesse nascere senza questo avvenimento cristiano che ha diviso i due mondi, così creando una nuova libertà. Lo Stato è importante, si deve ubbidire alle leggi, ma non è l’ultimo potere. La distinzione tra lo Stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui una persona può anche opporsi allo Stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello Stato. Così è nata una storia di libertà. Anche se poi il pensiero liberaldemocratico ha preso le sue strade, l’origine è proprio questa». Sostiene Thomas S. Eliot che «se il Cristianesimo se ne va, se ne va l’intera nostra cultura. E allora dovremmo attraversare molti secoli di barbarie». Sono immaginabili Stato di diritto, società aperta e l’intero Occidente senza il messaggio cristiano?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: