martedì 24 febbraio 2015
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Metà volpe, metà leone. Prima di essere sancita da Niccolò Machiavelli in una famosa pagina del Principe , la combinazione ideale per la gestione del potere era stata individuata da Erasmo da Rotterdam negli Adagia, proverbi latini commentati con osservazioni che hanno la densità e la consistenza di un trattato. Un testo che Machiavelli conosce e che, con ogni evidenza, rielabora nel suo capolavoro. Il quale, a sua volta, finisce per dialogare con un’altra opera di Erasmo, la Institutio principis christiani, portata a termine negli anni immediatamente successivi alla stesura del Principe. Si può partire da qui, da questo intreccio di dati e rispondenze, per apprezzare la ricchezza del patrimonio culturale che Carlo Ossola documenta in Erasmo nel notturno d’Europa (Vita e Pensiero, pagine 134, euro 13), edizione italiana del saggio in cui il grande studioso – e firma prestigiosa di “Avvenire” – ha riassunto il corso da lui tenuto al Collège de France nel 2012-2013. Il protagonista è appunto Erasmo (1466/69-1536), l’autore dell’Elogio della follia  e di tante altre opere si cui si fonda, ancora oggi, la coscienza del nostro inquieto continente. Formatosi in Italia, ma dall’Italia sostanzialmente poco amato, nella sua epoca Erasmo fu interlocutore, oltre che di Machiavelli, di Martin Lutero e di François Rabelais, intrecciando con il primo una memorabile contesa sulla questione del libero arbitrio e suggerendo al secondo una serie di immagini che, nel celebrare il primato dell’interiorità e della coscienza, tornano a collimare con le posizioni assunte da Thomas More nella sua Utopia. E proprio al santo cancelliere l’Elogio della follia è dedicato.L’orizzonte, scrive Ossola, è quello di «un Cinquecento che non si lasciò irretire dalle contese religiose, che tolse all’eredità classica i paludamenti aulici e alla tradizione patristica i tratti apologetici per andare a fondo nell’esame della condizione umana, fragile e meravigliosa, vana e tuttavia preziosa». Esempio compiuto e dialogante di umanista cristiano, Erasmo esercita un’influenza innegabile fino a tutto il Settecento, sia pure a prezzo di qualche radicalizzazione del suo pensiero, come quella operata da Voltaire. Viene a essere tendenzialmente emarginato nel XIX secolo (i romantici, osserva a ragione Ossola, nutrivano maggior simpatia per lo stile apocalittico e roboante del suo avversario Lutero) e torna a imporsi come punto di riferimento nelle tempeste del Novecento, in quel «notturno d’Europa» suggestivamente evocato dal titolo.Mentre ricostruisce l’apporto di filologi e storici (tra gli altri, Pierre de Nolhac e Augustin Renaudet), Ossola si sofferma con particolare attenzione su due biografi novecenteschi di Erasmo : l’austriaco Stefan Zweig e l’olandese Johan Huizinga, entrambi oppositori del nazismo fino alla morte, entrambi prontissimi a individuare nell’eredità dell’umanista un antidoto più che mai attuale e necessario contro ogni fanatismo e totalitarismo. Ma le pagine più gustose del libro sono quelle appositamente redatte per la versione italiana e dedicate ad «alcun ragioni della sfortuna di Erasmo» nel nostro Paese. Plurale di cortesia, dato che per Ossola la ragione è principalmente una, e va individuata nell’ostracismo che lo storico Delio Cantimori (1904-1966) oppose tanto a Erasmo quanto al suo continuatore Huizinga prima e dopo la guerra. E cioè da destra, quando Cantimori teorizzava la fatale superiorità del nazionalsocialismo, e da sinistra, quando lo stesso Cantimori si era ormai convertito alla sorti del marxismo progressivo.L’occasione di verifica è offerta, ancora una volta, dall’Elogio della follia o, meglio, della pazzia , secondo la dizione adottata dal meridionalista Tommaso Fiore (1884-1973) per l’edizione apparsa da Einaudi nel 1943. Negli anni precedenti Cantimori aveva già preso le distanze da un Erasmo che, a suo avviso, non poteva suscitare se non un interesse “episodico” da parte degli storici, e degli storici italiani nella fattispecie. Nel 1964, però, Cantimori si presenta in veste di prefatore per la riproposta, sempre presso Einaudi, della già citata versione di Fiore. Viene così a cadere l’introduzione di quest’ultimo, che riconosceva in Erasmo un modello di libertà e di opposizione «all’assolutismo, al fanatismo, all’illegalità». Valori che Cantimori, preoccupato com’è di ricondurre l’Elogio al genere letterario del divertissement erudito, non sembra prendere in considerazione. Del resto, non erano di suo gusto neppure Minima moralia di Adorno, né gli scritti di Braudel, né il redivivo Huizinga della Crisi della civiltà. Tutti erasmiani, a modo loro: ostili a ogni ideologia, indipendenti e, all’occorrenza, perfino spiritosi.
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