giovedì 17 aprile 2014
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«Mio padre, il monument man italiano». Giovanna Rotondi Terminiello, storica dell’arte, già Soprintendente ai Beni artistici della Liguria, racconta suo padre, Pasquale Rotondi, che preservò oltre diecimila opere d’arte italiane dalle bombe e dalle razzie. Nato il 12 maggio 1909 ad Arpino (Fr) dopo la laurea lavorò alla Soprintendenza di Ancona, ma nel 1939, «a soli 30 anni, fu nominato soprintendente delle Marche dal ministro Bottai su suggerimento di Giulio Carlo Argan – racconta Rotondi Terminiello – che era amico di mio padre e ne conosceva la dedizione al lavoro e il pragmatismo». «Venne mandato a Urbino a preparare un rifugio per le opere d’arte, un giorno però vide alcuni militari in stazione, si informò e scoprì che proprio a Urbino c’era un deposito di armi dell’aeronautica, un possibile obiettivo bellico! Gli dissero di trovare altre sedi, così individuò la Rocca di Sassocorvaro e poi il Palazzo dei principi di Carpegna – prosegue – due giorni prima dello scoppio della guerra, nel giugno 1940, ricevette l’ordine di mettere al sicuro il museo della ceramica di Pesaro, la Galleria nazionale delle Marche di Urbino, il Rubens di Fermo, il Tiziano di Ascoli, vari capolavori dalla Dalmazia e i manoscritti di Rossini». Un grande tesoro cresceva mentre l’Europa era dilaniata dalla guerra: «Anche il Soprintendente di Venezia decise di portare le sue opere nei rifugi di papà, con non poche difficoltà – riprende Rotondi Terminiello –, per fare entrare nella rocca di Sassocorvaro i teleri del Carpaccio dovettero segare gli scalini». Poco dopo da Venezia arrivarono anche i capolavori della Chiesa tra cui la Pala d’oro di San Marco. Poi giunsero opere da Milano (Brera e Castello Sforzesco) e da Roma (Galleria Borghese) e Rotondi si ritrovò a custodire circa 10 mila pezzi di valore assoluto, quello che definì «il raggruppamento di opere d’arte più importante mai realizzato al mondo». Dal ’43 la situazione andò peggiorando, «le SS si impadronirono del palazzo di Carpegna e mio padre, a rischio della vita, provò ad allontanare i tedeschi, ma venne cacciato via». Le SS, pensando ci fossero armi, iniziarono ad aprire le casse, ma qui accadde un piccolo miracolo: «Ne aprirono una a caso e trovarono i manoscritti di Rossini, allora immaginando fossero solo documenti, lasciarono stare le altre. La cassa vicina – sottolinea la Soprintendente – conteneva la Pala d’oro di san Marco! Dicono che Rossini porti fortuna…». I tedeschi rimasero nel palazzo, ignari delle ricchezze che custodiva, ma Rotondi temeva andassero anche a Sassocorvaro. «Corse alla Rocca, con la Balilla e ritirò le opere piccole, quelle che poteva portare via. Prese la Tempesta di Giorgione, il san Giorgio di Mantegna, opere di Bellini, Lotto... Avrebbe voluto portarle al Palazzo ducale di Urbino, ma arrivato alle porte della città trovò mia madre che lo avvertì dei rastrellamenti dei tedeschi. Allora le portò nella nostra casa di villeggiatura, dove eravamo anche noi figlie. L’emozione di avere in casa opere di quel livello fu grandissima per i miei genitori, rimasero tutta la notte svegli a contemplare quei quadri! Nei giorni successivi mia madre Zea si diede malata e si mise a letto perché proprio lì sotto avevano nascosto i quadri». Il momento era difficile, ma la situazione volse al bello, anche grazie a qualche trucco: «Attraverso il vescovo di Urbino – racconta Rotondi Terminiello – mio padre riprese i contatti col Patriarca di Venezia, che ottenne dai tedeschi di portare in Vaticano almeno le opere della sua diocesi. Mio padre colse l’occasione e si accordò con gli amici Argan e Lavagnino, ma soprattutto col Sostituto della Segretaria di Stato vaticana, Montini, il futuro Paolo VI, che accettò venissero portate più opere possibili, anche dello Stato. Un ufficiale tedesco scortava la spedizione e controllava, ma sulle casse non c’era il nome delle opere. Inoltre mia madre lo invitò a cena e lo fece ubriacare. Così trasferirono praticamente tutto in Vaticano».Nel dopoguerra Rotondi rimase a Urbino, come Soprintendente e docente all’università. Nel 1949 fu trasferito a Genova, dal ’61 fu direttore dell’Istituto centrale di Restauro di Roma e fu tra i promotori del salvataggio delle opere danneggiate dall’alluvione di Firenze del 1966. Andato in pensione, nel 1973, fu nominato consulente per i restauri delle Gallerie e dei Musei pontifici. La storia dell’eccezionale salvataggio rimase però sconosciuta ai più. Rotondi riteneva di aver semplicemente fatto il proprio dovere. «Nell’85 – conclude la figlia – il sindaco di Sassocorvaro venne a sapere cosa era stato ospitato nella Rocca e contattò papà. Da lì partì tutto: libri, premi, onorificenze, la cittadinanza onoraria di Urbino... Era felice, ma con ironia disse: ora mi hanno ben commemorato, non mi resta che morire». E la morte lo colse nel 1991, a 81 anni: mentre seguiva il restauro della Cappella Sistina: fu investito nel centro di Roma da una moto. Una vita dedicata all’arte, fino all’ultimo. La vita di un grande italiano quella di Pasquale Rotondi, il nostro "monument man".
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