martedì 21 aprile 2015
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Si attraversa Villa Borghese, si esce dalla parte del Bioparco e si procede per qualche centinaio di metri, fino a via Mercati. E lì per un momento, ma solo per un momento, viene il dubbio di aver sbagliato indirizzo. Dal civico 4, infatti, si accede alla “Antonio Baldini”, che ha tutto l’aspetto di una biblioteca di quartiere: ragazzi che studiano, scaffali aperti, clima funzionale e vagamente spartano da anni Sessanta. Nessun errore, però. La direzione generale per le Biblioteche del MiBact (ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo) ha sede proprio qui, nello stesso edificio di quella che forse è la più sorprendente tra le biblioteche pubbliche statali del nostro Paese. Fondata nel 1962, la “Baldini” è divenuta proprietà dello Stato nel 1977, dopo la soppressione dell’ente nazionale per le Biblioteche popolari e scolastiche che ne aveva promosso la costituzione. Un dettaglio che aiuta a capire quanto sia complesso il meccanismo sul quale la riforma Franceschini si trova a intervenire. «Ma in realtà lo status quo non viene affatto alterato», sostiene Rossana Rummo, la dirigente che sta a capo di questo settore del ministero. Da lei dipendono non solo le biblioteche, ma anche gli istituti culturali e il settore del diritto d’autore. «Del quale si parla di rado – aggiunge – e che invece ha una rilevanza strategica per il futuro del nostro patrimonio». Vero, intanto però restiamo sulle biblioteche.Status quo inalterato in che senso?«Nel senso che, a differenza di quanto accade per il settore dei musei, la riforma Franceschini non comporta una revisione del disegno complessivo – risponde Rossana Rummo –. Pensi, per esempio, al superamento del sistema delle soprintendenze, oggi sostituite dalla direzioni regionali. In questo caso si è ritenuto opportuno mettere mano a un assetto che, in sostanza, era ancora di stampo ottocentesco. Nulla di simile è accaduto per le biblioteche pubbliche statali, il cui impianto generale è stato semmai conservato».Sì, ma intanto il numero delle posizioni dirigenziali è stato drasticamente ridimensionato: da 20 che erano, oggi sono ridotte a 9.«La riforma nasce, com’è noto, nell’ambito della spending review, che non comporta una mera riduzione dei costi, ma anche una diversa distribuzione dei pesi decisionali. Stiamo passando da un sistema fortemente e per certi aspetti, forse, eccessivamente decentrato, a uno che invece accentua la funzione delle direzioni generali, compresa quella delle Biblioteche».E questo che cosa comporta, in concreto?«Che la direzione generale delle Biblioteche è la responsabile ultima dell’autonomia tecnico- scientifica che pure, è il caso di ricordare, la riforma riconosce a tutte le strutture bibliotecarie presenti sul territorio».Aspetti, non mi è chiaro il passaggio.«In precedenza l’autonomia tecnico-scientifica era una prerogativa degli archivi. Il decreto ministeriale del novembre scorso, che dà corpo alla nuova organizzazione del MiBact, estende questa stessa autonomia tecnico-scientifica alle biblioteche e, di conseguenza, a ogni direttore, indipendentemente dal fatto che sia un dirigente o un funzionario».Questo vale anche per strutture come la Braidense di Milano, che la riforma subordina al relativo polo museale?«La cosiddetta “polarizzazione” è un provvedimento di natura amministrativa, che punta a una maggior valorizzazione del patrimonio nel suo complesso. Ma la nomina dei direttori dipende dalla direzione generale delle Biblioteche, alla quale i direttori stessi continuano a fare riferimento per quanto riguarda gli aspetti più squisitamente tecnici e scientifici».Mi perdoni, ma non è un percorso un po’ tortuoso?«La mia convinzione è che il quadro generale sia molto meno drammatico di come lo si è finora dipinto. Siamo in un momento molto delicato, questo è indubbio, ma lo snodo decisivo non è certo quello delle sedi dirigenziali. Già adesso, del resto, ci sono biblioteche molto importanti, come la Casanatense e l’Angelica a Roma, dirette con esiti eccellenti da ottimi funzionari».Quali sono, allora, i veri problemi?«Il più urgente è senza dubbio quello del personale. La più recente rilevazione del MiBact, risalente al dicembre 2013, riporta la cifra di 961 bibliotecari in servizio, ma da allora questo piccolo esercito si è ulteriormente assottigliato. Abbiamo bisogno di immettere nel sistema addetti più giovani, formati all’uso delle nuove tecnologie. Ma le condizioni per le assunzioni a tempo indeterminato non sono ancora mature, nei prossimi anni dovremo insistere molto sulla collaborazione tra pubblico e privato, oppure sui servizi offerti da cooperative e startup costituite con finalità specifiche. Servono risorse economiche e per ottenerle si può anche pensare di musealizzare, almeno in parte, qualcuna delle nostre biblioteche storiche. Senza rinunciare alla ricerca, si capisce. Ma anche senza pretendere di riprodurre schemi che ormai appartengono al passato».(Fine. Le puntate precedenti sono uscite il’8 e il 15 aprile)

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