sabato 30 agosto 2014
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Ammonisce il figlio di Sirach, autore del Siracide: «Vergognati della tua ignoranza». Già, gli italiani dovrebbero un po’ vergognarsi della loro ignoranza sul fattore «B», che sta per Bibbia. Quasi tutti ammettono di possederne in casa una copia. Sette su dieci spiegano di averne ascoltati alcuni brani nell’ultimo anno o anche di averli letti. Ma quando si prova a entrare fra le pieghe del testo sacro, l’approssimazione e la confusione regnano sovrani. E allora appena il 20% sa che Bibbia significa “libro” (per due su cinque vuol dire “testimonianza”). Un terzo pensa che il Messale faccia parte dei settantatré libri di cui la Bibbia è composta. Un altro terzo sostiene che la Scrittura indichi la data del 25 dicembre per la nascita di Cristo. Ben sei su dieci si dicono sicuri che Cesare Augusto non sia mai citato dalla Parola per eccellenza (quando, invece, nei Vangeli è richiamato come l’imperatore che indice il primo censimento e che costringe Giuseppe con Maria a “salire” da Nazaret a Betlemme dove verrà alla luce l’Emmanuel). E più della metà del Belpaese non ritiene che il testo sacro sia fonte della Rivelazione anche per ortodossi o anglicani.Risultato? Se nella pagella degli italiani ci fosse una materia che potremmo chiamare “biblica”, la Penisola non raggiungerebbe la sufficienza. E il voto che si meriterebbe sarebbe 5,9, secondo l’indagine che la casa editrice Edb, in collaborazione con la Fondazione Unipolis, ha commissionato all’istituto di ricerca “Demos & Pi” in occasione del quarantesimo anniversario della pubblicazione in Italia della Bibbia di Gerusalemme. Più di millecinquecento interviste realizzate per scandagliare il rapporto fra il Paese e un testo che «non è soltanto il distintivo cristiano, per citare una formula cara al filosofo Romano Guardini, ma rappresenta anche un distintivo nazionale», sottolinea il direttore scientifico di “Demos & Pi” e curatore dello studio, Ilvo Diamanti. Gli esiti della ricerca, curata da Luigi Ceccarini, Martina Di Pierdomenico e Ludovico Gardani, sono il fulcro del libro Gli italiani e la Bibbia (Edb, pagine 136, euro 10,00) che esce lunedì.Il priore della comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi, parla nella postfazione di «povertà della cultura biblica in Italia» che «rinvia a quella che è stata recentemente chiamata la condizione più generale di analfabetismo religioso». Del resto, ricorda Bianchi, «è piuttosto recente lo sdoganamento della Bibbia» che avviene con il Concilio Vaticano II. E «l’Italia si distingue anche per l’assenza dal contesto universitario statale, pubblico, delle Facoltà teologiche e dunque di organici insegnamenti biblici». Come se non bastasse, «la stessa catechesi non è sempre capace di un’adeguata iniziazione alla Scrittura».Certo, aggiunge Diamanti che firma l’introduzione del volume, «in un Paese dove si legge poco la Bibbia è ancora un “bene pregiato”, sicuramente non raro e presente ovunque». Nell’82% delle famiglie, attesta l’indagine. E due italiani su dieci ne hanno ricevuta almeno una copia in regalo. Non solo. Il Libro dei libri fa breccia anche fra i non praticanti: sette su dieci l’hanno in salotto. Ecco una delle dimensioni nascoste che la ricerca rileva: la Scrittura è «trasversale», come viene definita nella pubblicazione, ossia conquista anche chi non frequenta le celebrazioni o si reputa “lontano”. La metà di chi non è mai andato a Messa nell’ultimo anno o ritiene irrilevante l’elemento religioso dichiara di averla letta (almeno in parte). E il 30% di coloro che si dicono “laici” o di estrema sinistra si è avvicinato al testo. Persino quando si chiede se è opportuno studiare la Bibbia a scuola, la metà dei non praticanti assicura di essere d’accordo (il dato sale al 63% se si valuta l’intero campione). «Ciò mostra che il Libro sacro è al centro della civiltà occidentale: non se ne può prescindere e va oltre la sfera religiosa», afferma Diamanti, docente di governo e comunicazione politica all’Università di Urbino. Ma il rischio è che la Bibbia non sia tanto il Verbo, quanto la «pezza d’appoggio per una religione civile», evidenzia Bianchi.Una delle conseguenze è che anche il credente assiduo non ha dimestichezza con la Scrittura. Appena il 31% dei praticanti possiede una buona conoscenza biblica: cifra che non si discosta troppo da quella dei “lontani” (il 26%). «Non emerge una relazione diretta fra la vita ecclesiale di una persona e la frequentazione della Bibbia – chiarisce Diamanti –. La familiarità con il testo è legata ad altro: a indici culturali e sociali». Spesso si accosta al Libro chi ha un’istruzione elevata. Ma, a sorpresa, i lettori più assidui e anche preparati sono i giovani che hanno dai 15 ai 34 anni. «Perché è l’età in cui si ha un forte vincolo con la pagina scritta», precisa il curatore.Il principale ponte verso la Scrittura è l’ascolto. La grande maggioranza degli italiani l’ha “sentita” negli ultimi dodici mesi; quattro su dieci nell’ultima settimana. Dove? L’89% durante una liturgia; il 42% alla tv o alla radio («E sono gli anziani», nota lo studio); il 40% in parrocchia; il 23% in famiglia. «Siamo di fronte a un audiolibro», spiega Diamanti. In fondo la proclamazione della Parola fa parte della vita della Chiesa. Però, si domanda Enzo Bianchi, «questo ascolto, inserito in un quadro rituale, riesce ancora a creare comunità?».Comunque l’approccio orale non è sufficiente per immergersi nella Scrittura. Serve la lettura o meglio sarebbe la lectio a cui, secondo Guigo II il Certosino, deve seguire la meditazione, la preghiera e la contemplazione. Ma qua siamo troppo avanti. Il 67% degli italiani riferisce di leggere la Bibbia: ma uno scarso 9% lo fa tutte le settimane e appena il 30% l’ha sfogliata nell’ultimo anno. La geografia della lettura premia il Sud dove si ha più attenzione a questa pratica. Si apre il Libro sacro soprattutto a Messa (72%), poi in parrocchia col sacerdote (62%), al catechismo (59%) e in famiglia (46%). Ma sei su dieci preferiscono farlo da soli. La ricerca traccia anche l’identikit del lettore medio: è donna, ha cinquant’anni, possiede un titolo di studio elevato, appartiene al ceto medio, risiede nel Mezzogiorno, vive la comunità ecclesiale e reputa la fede fondamentale nella sua vita.Ostacoli superati? Macché. La Bibbia viene considerata difficile dal 61% degli intervistati. E la metà dei lettori chiede un aiuto per l’esegesi: prima di tutto al prete (80% dei casi), poi ad amici (18%), al catechista (12%) o all’insegnante (11%). Però si resta in superficie. Provate a chiedere – come hanno fatto i ricercatori – se l’adagio «Beati gli ultimi se i primi sono prudenti» sia riportato nel testo sacro: la metà vi risponderà di “sì” anche se è soltanto un detto popolare. All’opposto il consiglio di Gesù «Medico, cura te stesso» è considerato estraneo alla Bibbia dal 56% del campione.Così potrà anche apparire confortante che il Libro dei libri abbia varcato la soglia dell’era digitale, che il 13% abbia scaricato un’app biblica e che l’icona sul telefonino sia giudicata utile dal 43% degli italiani. Ma è quanto mai attuale il monito lungimirante di Benedetto XVI durante un’udienza del 3 agosto 2011: «In effetti molti cristiani non leggono mai la Bibbia e hanno di essa una conoscenza molto limitata e superficiale. La Bibbia – come dice il nome – è una raccolta di libri, una piccola “biblioteca”, nata nel corso di un millennio. Alcuni di questi “libretti” che la compongono rimangono quasi sconosciuti alla maggior parte delle persone, anche ai buoni cristiani». E non vorremmo che, tornando a parlare del fattore «B» fra qualche anno, sia necessario affidarci all’espressione «Nulla di nuovo sotto il sole» (che è pienamente biblica ed è tratta dal Qoèlet).
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