lunedì 22 dicembre 2014
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Nella geografia del cuore di Papa Francesco c’è un luogo che ha segnato profondamente la sua formazione e la sua persona, in quello che lui ricorda come «tiempo de oscuridad, ombras». Una città nella quale il futuro pontefice ha trovato «il sentiero di Dio» dopo avere attraversato il «tempo di oscurità, di ombre». Quel luogo è Cordoba, nell’Argentina centrale, oltre 700 chilometri a nord di Buenos Aires, ai piedi della Sierras Chicas. Bergoglio vi aveva vissuto una prima volta come novizio, tra il 1958 e il 1960, e poi vi è tornato come sacerdote, nel periodo che va dal ’90 al ’92. In mezzo c’era stata la giunta militare, il ritorno alla democrazia, il disorientamento nella Chiesa, le crisi sociali ed economiche, e i suoi sei anni da provinciale dei Gesuiti, dal 1973 al 1979. «Il Signore - disse nella sua prima intervista da pontefice, rilasciata a padre Antonio Spadaro - ha permesso questa pedagogia di governo anche attraverso i miei difetti e i miei peccati».Dopo averne fatto cenno nell’ampio colloquio con il direttore della Civiltà Cattolica, il Papa è tornato con la mente a quegli anni, parlandone proprio a due giornalisti cordobesi, Javier Camara e Sebastián Pfaffen. «Avevamo manifestato l’idea del libro al vescovo cordobese, Carlos Ñáñez, e alcuni mesi dopo aver avviato le ricerche è arrivata una telefonata». Era "padre Jorge". Ne seguirono altre. Quella emersa non è un’intervista, «ma lui ci ha fornito diverse spiegazioni e ci ha regalato ricordi importantissimi», spiegano gli autori. Episodi che sono diventati il piatto forte di Aquel Francisco, un sorprendente libro di 350 pagine appena pubblicato in Argentina dalla Editorial Raíz de Dos.Camara e Pfaffen volevano capire fino in fondo quale legame avesse il Papa con la loro città. Una sorta di approfondimento sulla storia locale. Intanto volevano comprendere cosa intendesse Bergoglio quando disse di avere «vissuto un tempo di grande crisi interiore quando ero a Cordoba - aveva spiegato Francesco a padre Spadaro -. Ecco, no, non sono stato certo come la Beata Imelda, ma non sono mai stato di destra. È stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi». Ai due reporter cordobesi, papa Francesco ha spiegato che non gli piace che si parli di «castigo», e meno che mai di «esilio» da Buenos Aires per ordine dei superiori della Compagnia, con cui pure c’erano state delle incomprensioni. Aveva già 54 anni, era sacerdote da un ventennio, e non necessitava certo di essere «rieducato».Papa Francesco visse quello che padre Angel Rossi, figlio spirituale di Bergoglio, definisce «deserto dell’esilio». Il Papa offre una lettura intima di quell’epoca. Nessuna rivendicazione, anzi la consapevolezza che quel «tiempo de oscuridad» è stato propedeutico alla missione che gli sarebbe stata affidata. «Un religioso - afferma - non dovrebbe mai dire "ho subito un’ingiustizia", perché deve sempre trovare dentro di sé, in ogni caso e in ogni circostanza, il sentiero di Dio, la via per una purificazione interiore. Quindi non posso dire che mi hanno fatto un torto, anche se altri lo credono». Per dirla sempre con il gesuita Rossi, «i letterati parlano di secondo viaggio; ma i mistici la chiamano seconda conversione». A quell’epoca al futuro Papa non erano assegnati compiti precisi. «Non mi avevano fissato un orario stabile per la celebrazione della messa, ma avevo un calendario per le confessioni». Per via del luogo in cui si trova a Cordoba la Chiesa dei gesuiti, lungo una strada che collega diverse zone della città, al futuro Papa arrivavano persone di ogni estrazione culturale, sociale ed economica: docenti universitari, studenti, avvocati e la loro servitù. Qui si accorse che tra i fedeli alcuni svolgevano una «buona confessione». Incuriosito, scoprì che si trattava dei meno abbienti, che venivano tutti da Traslasierras, la regione nella quale cento anni prima aveva svolto la sua missione pastorale padre José Gabriel del Rosario Brochero. L’indimenticato "cura Brochero", quasi un Curato d’Ars latinoamericano. Era la prova, per Bergoglio, che l’evangelizzazione del prete gaucho «dopo quasi un secolo, era ancora efficace».Il Papa parla poi del tempo trascorso a studiare, con dedizione e fatica. E mai avrebbe potuto immaginare quanto quell’applicarsi sui tomi sarebbe potuto diventare utile non solo a lui, ma alla Chiesa intera. Leggeva e rileggeva il teologo Romano Guardini, una figura che si rivelerà nevralgica tra l’altro «nello scrivere l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, dal momento che gran parte dei criteri sociali adoperati vengono presi dalle tesi di Guardini». E ricorda anche di aver letto, su "ordine" di un suo superiore, alcuni volumi sulla storia dei papi. Fu impegnativo e non sempre appassionante. Eppure "profetico", visto quello che è poi accaduto. Scorrendo il carosello di vicissitudini, di miserie e di profezie, «mi ha colpito la figura della Chiesa Madre, la fedeltà del Signore verso il peccatore»; nondimeno «la Chiesa infedele, ma anche con tanti santi. La figura della Chiesa Madre che ha vinto in modo impressionante. Questi libri mi hanno aiutato ad amare la Chiesa». Riflessioni che avvenivano in una quotidianità scandita da servizi umili, svolti con devozione, in cucina come nella sacrestia. La quotidianità di un «tiempo de oscuridad», che molti testimoni oculari hanno definito a Camara e Pfaffen come «la routine di un santo».
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