venerdì 21 giugno 2013
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Non sono pochi i motivi di fascino sprigionati dalle pagine della Storia Universale di Agapio di Gerapoli (in arabo Manbig) pubblicata dalle Edizioni di Terrasanta (pp. 494, euro 39,50) e presentata ieri a Milano. Per la prima volta resa accessibile a un pubblico italiano (in una traduzione riccamente annotata che ha tenuto ben presenti le edizioni all’alba del ’900 di Louis Cheikho e di Alexander Vasiliev), la lunga cronaca nota come Kitab al-Unwan («Libro del Titolo»), scritta nel X secolo da un vescovo arabo appartenente alla Chiesa cattolica greco-melchita e morto forse nel 945 (e contemporaneo di un altro noto storico, l’Eutichio degli Annali, patriarca della sede alessandrina), si apre – fatto insolito – con la dichiarazione dei motivi che l’hanno originata. E il motivo principale – tra la decisione di voler enumerare tutti gli eventi accaduti dalle origini del mondo, le spiegazioni sui secoli dei tempi e delle nazioni, le descrizioni dei doni e delle meraviglie elargite da Dio – è quello di far emergere le provvidenziali disposizioni divine insite nella storia e offrire una lettura spirituale delle vicende narrate. Che iniziano dalla creazione e dall’Adamo della grazia e della caduta, sino alla nascita di Cristo e alla morte di Erode, (indicata simbolicamente come l’abbattimento del baluardo del male), riprendono dalle gesta di Giulio Cesare e di Augusto fino alla comparsa degli Arabi che irrompono d’improvviso nelle relazioni tra Eraclio e Cosroe con la deportazione della santa croce in Persia, quindi seguono l’avvicendarsi di califfi omayyadi e abbasidi, di imperatori bizantini, vescovi e patriarchi, per concludersi con un finale monco (che presume una vistosa lacuna) nel 780: ultimo anno del regno dell’imperatore Leone IV, nonché secondo anno di governo del califfo al-Mahda (con i due che diedero «ordine di aprire le prigioni e di mettere in libertà» tutti quanti i loro padri vi avevano «fatto rinchiudere»). Tra le prime e le ultime pagine un diluvio di notizie, nazione per nazione, regno per regno, profeta dopo profeta, epoca dopo epoca, sovrano dopo sovrano, senza dimenticare successioni apostoliche, eresie, concili, e persino i fenomeni atmosferici o quanto si riferisce alla conoscenza della natura – del Creato e dell’uomo – nelle sue meraviglie e fibrillazioni. Intrecciando gli accadimenti in una perenne presenza di Dio, attingendo «ai santi libri di Dio nonché a quelli dei filosofi e dei saggi» (nei fatti a un cospicuo numero di fonti arabe, greche, siriache...) l’autore testimonia dati storici e biografici, leggende o tradizioni, usi e costumi, materiale di non poco conto per chi studia l’Oriente cristiano e non solo. Seguendo la Genesi e Tolomeo, il passaggio dagli idoli al monoteismo, arrivando ad Alessandro Magno per parlare poi della Bibbia dei Settanta o della Torah ai tempi di Costantino, proseguendo con i re di Persia e dei sovrani Lagidi, con i capitoli di storia greca, romana, bizantina, quindi la storia degli arabi e delle loro conquiste, califfato dopo califfato, rivolta dopo rivolta, l’opera di Agapito tutto svela e vela. Da richiamare quanto al Testimonium flavianum la citazione dalle Antichità Giudaiche, nel passaggio dedicato alla morte di Gesù,con le parole seguenti attribuite ai discepoli: «Affermarono che apparve loro tre giorni dopo la sua crocifissione, vivente. Potrebbe essere lui il Messia dei cui miracoli hanno parlato i Profeti». Inoltre, sono piuttosto originali alcuni elementi su cui si sofferma nella prefazione Riccardo Contini e che vale la pena riprendere. Ad esempio, nel capitolo V della sua Storia Agapio include un’interessante versione della leggenda sull’origine della traduzione greca cosiddetta «dei LXX» della Bibbia ebraica, facendone un uso apologetico in conflitto con le origini di questa tradizione: come spiega Contini «non, cioè, nel senso di sottolineare l’origine miracolosa della traduzione, e dunque la sua inalterabilità, bensì allo scopo di dimostrare che gli ebrei avrebbero introdotto nel testo alterazioni tutt’altro che innocue». Insomma inserisce la leggenda nella cornice delle accuse agli ebrei di aver manipolato il testo della Bibbia per occultarvi la presenza di testimonianze dell’avvento del Messia cristiano (vena polemica con precedenti sia nella tradizione cristiana che islamica, con la parallela accusa a ebrei e cristiani di aver contraffatto le loro Scritture al fine di obliterare le prove dell’identità del profeta Muhammad).Altrettanto originale – rispetto ai precedenti testimoni della leggenda «dei LXX» – l’immagine che Agapio offre del sovrano d’Egitto Tolomeo Filadelfo (con il committente della traduzione della Bibbia dall’ebraico in greco rappresentato come superiore ad Alessandro quanto a familiarità con i saperi d’importazione musulmana: astrologia, astronomia, geometria, aritmetica), oppure quella del filosofo sincretista di lingua siriaca Bardesane di Edessa (la biografia leggendaria del quale è qui intessuta con una delle tre tradizioni disponibili sulla sua dottrina cosmologica). Senza dimenticare il ruolo di un eclettico intellettuale ellenofilo, Teofilo di Edessa, verso la cui opera Agapio confessa il suo debito, nella cornice di una circolazione storiografica che in questo volume – accolto nella bella collana "Patrimonio Culturale Arabo Cristiano" – è però forse per la prima volta davvero interculturale e interconfessionale.
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