martedì 8 luglio 2014
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Lo chiamavano l’anti-Freud. Ma i suoi meriti vanno al di là dell’aver messo spalle al muro la psicoanalisi. Verrà il giorno in cui l’austriaco Rudolf Allers (1883-1963), sarà finalmente riconosciuto tra i più grandi psicologi e psichiatri della storia. Per ora, però, è solo un illustre sconosciuto, almeno in Italia. Se è vero che la psicologia è stata spesso terra straniera per i credenti e campo di reciproci sospetti, Allers al contrario non ha mai taciuto la sua militanza cattolica. E non è un caso allora se negli anni è stato ignorato e dimenticato. Onore quindi a padre Jorge Olaechea Catter e al coraggio di una piccola casa editrice, la calabrese D’Ettoris, per aver gettato un significativo sasso nello stagno con un saggio illuminante e scorrevole anche per i non addetti ai lavori: Rudolf Allers psichiatra dell’umano. Per una psicologia filosofica-antropologica della persona umana (pp. 194, euro 15,90). Catter, filosofo e teologo con specializzazione in psicologia alla Pontificia Università Lateranense di Roma, è quindi un pioniere degli studi allersiani in Italia insieme con Roberto Marchesini, psicologo che oltre a firmare la prefazione di questo libro ha già introdotto un altro volume essenziale di Rudolf Allers Psicologia e cattolicesimo sempre per D’Ettoris editori. Secondo Marchesini lo studioso austriaco è il più grande psicologo cattolico, superiore anche al connazionale Viktor Frankl (1905-1997) che di Allers fu allievo, ma la cui psicologia sebbene «in sintonia con la legge naturale» non può definirsi «propriamente cattolica».E dire che Allers fu un protagonista della vita culturale del Novecento: entrò in contatto con i maggiori esponenti della filosofia e della psicologia del tempo, ebbe una brillante carriera accademica e conseguì una serie di prestigiosi riconoscimenti.Nacque a Vienna nel 1883, primogenito di una famiglia di origine ebraica, sebbene di fede cattolica. Poliglotta sin da bambino, nel 1906 si laureò in Medicina e tra i suoi professori ci fu anche Sigmund Freud. Diventato psichiatra nel 1908 lavorò a Monaco di Baviera con Emil Kräpelin ritenuto uno dei fondatori della psichiatria moderna. Durante la Prima guerra mondiale si distinse come chirurgo sui campi di battaglia e impressionato dai traumi emotivi prodotti dalla guerra si gettò a capofitto nello studio di questi disturbi. Arrivò alla conclusione che la psichiatria positivista che considerava le malattie mentali come malattie del cervello non fosse in grado di spiegare la complessità della psiche umana. Dopo la guerra prese le distanze dalla psicanalisi freudiana e più tardi si distaccò con Oswald Schwarz anche da Adler. Cominciò invece a interessarsi alla psicoterapia diventando direttore del Centro di psicologia medica e di Psicologia della sensazione dell’Istituto di Fisiologia dell’Università di Vienna. Allers era fermamente convinto che la psicologia e la psichiatria per essere davvero efficaci dovevano avere una solida base metafisica. «Una buona summa psycologiae moralis - spiegava - potrebbe essere composta da estratti delle opere di sant’Agostino, san Gregorio, i Vittorini, Gerson, sant’Ignazio, san Francesco di Sales, Rodriguez, Faber e Newman, per fare solo pochi nomi ben conosciuti». Era del tutto convinto che la Philosophia perennis di san Tommaso d’Aquino fosse imprescindibile per uno studio obiettivo della natura umana. Raccolse quindi al volo l’invito dell’amico padre Agostino Gemelli e si recò all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano per approfondire il Tomismo ottenendo nel 1934 la laurea in filosofia. Nel capoluogo lombardo ebbe modo di studiare e apprezzare anche il metodo educativo di san Giovanni Bosco. Fu mentore del teologo Hans Urs von Balthasar e amico di santa Edith Stein, di cui tradusse alcune opere in inglese usandole regolarmente durante le sue lezioni. Per la sua militanza cattolica e il suo sangue ebreo divenne subito inviso all’ambiente politico nazista del tempo. Quando la situazione divenne insostenibile si trasferì con la sua famiglia negli Stati Uniti. Le sue opere tradotte in inglese circolavano già Oltreoceano. Nel 1938 fu invitato alla Catholic University of America di Washington dove insegnò filosofia per dieci anni concludendo poi la sua carriera alla Georgetown University. Negli ultimi anni, malato, visse nella casa di cura dell’arcidiocesi di Washington dove le suore trasformarono il solarium in un’aula nella quale gli studenti si accalcavano per seguire ancora le sue lezioni. Morì a Georgetown il 14 dicembre del 1963 all’età di 80 anni con il desiderio irrealizzato di promuovere in America un istituto cattolico di psicologia medica. Un’opera da affidare a «scienziati cattolici laici» che, come confidò all’amico Gemelli, favorissero l’ascesa di un pensiero capace di «opporsi a tutte le tendenze anticattoliche, fra le quali quelle nel campo della psicologia sono particolarmente importanti».Il filosofo Louis Jugnet gli affibbiò l’epiteto di "anti-Freud" per la serrata critica alla psicoanalisi che Allers condusse nel corso dei suoi studi. Un’analisi severa e coraggiosa perché portata avanti quando Freud spopolava in tutt’Europa. Allers conveniva sul fatto che la nevrosi fosse la conseguenza di un conflitto. Ma riteneva che non si trattasse dello scontro tra diversi istinti o tra la pulsione e l’impossibilità di realizzarla come invece sosteneva Freud. Bensì ciò che causava la nevrosi per Allers è l’atteggiamento dell’uomo dinanzi a questo conflitto. La nevrosi, diceva, è la «forma di malattia e aberrazione derivante dalla conseguenza della rivolta della creatura contro la sua naturale mortalità e impotenza». Un conflitto peraltro non solo inevitabile ma anzi necessario per lo sviluppo della persona. Compito quindi della psicoterapia è quello di farci prendere coscienza della nostra finitezza, rinunciando a un’ingiustificata superbia in nome dell’umile accettazione della realtà, anche quando essa si mostra diversa da come la vorremmo. In questo senso siamo tutti un po’ nevrotici. E difatti secondo Allers «l’unica persona che possa essere interamente libera dalla nevrosi è quella che passa la vita in una sincera dedizione ai doveri naturali e soprannaturali e che ha costantemente affermato la sua posizione come creatura e il suo posto nell’ordine del creato; in altre parole, al di là del nevrotico c’è solo il santo». Eppure, ripeteva, la strada per battere la nevrosi è meno lontana di quanto si pensi: «Per guarire una nevrosi non è necessaria un’analisi che discenda fino alle profondità dell’inconscio, per tirare fuori chi sa quali reminiscenze, né un’interpretazione che veda le modificazioni o maschere dell’istinto nei nostri pensieri, sogni e atti. Per guarire una nevrosi è necessaria una vera metanoia, una rivoluzione interiore che sostituisca l’umiltà all’orgoglio, l’abbandono all’egocentrismo. Se diventiamo semplici, possiamo vincere l’istinto con l’amore, che costituisce - se gli è veramente dato di svilupparsi - una forza meravigliosa e invincibile».
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