lunedì 18 agosto 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Il nuovo libro di Giuseppe Sangiorgi, giornalista e segretario generale dell’Istituto Sturzo, non è una biografia di Alcide De Gasperi in senso tradizionale, ma un’opera che illustra come e quanto il segno lasciato dello statista trentino abbia influenzato la storia del cattolicesimo politico in Italia e, di conseguenza, la storia nazionale. Nel suo De Gasperi. Uno studio (Rubettino, pagine 230, euro 15,00), infatti, Sangiorgi, più che ripercorrere cronologicamente le tappe della biografia umana e politica di De Gasperi, mescola con perizia storia, cronaca e testimonianze spesso inedite e si sofferma sugli snodi, sugli incontri e sugli scontri, sulle zone di scambio e di reciproca influenza tra lo statista trentino e altri protagonisti della Democrazia Cristiana, del Partito Popolare, della Chiesa e della politica italiana ed europea.Sangiorgi conduce per mano il lettore alla scoperta della dimensione religiosa degasperiana, dalla quale discendono con naturalezza le altre: quella familiare, raccontata anche attraverso la voce delle figlie e, infine, quella pubblica. Come scrive l’autore, l’intento di questo libro è di contribuire a farlo «scendere dal piedistallo di marmo» sul quale De Gasperi è stato (sia pure tardivamente) innalzato dalla storiografia. Non certo per disconoscerne i meriti che sono e restano altissimi. Ma per renderlo più «normale», più «raggiungibile», più vicino a noi. Non un personaggio cristallizzato, distante e inaccessibile, ma un modello di vita cristiana per tutti, un esempio di santità e moralità ancora oggi vivo e vivificante. (G.Gra.)
Diversissimi per nascita, storie familiari e formazione, De Gasperi e Togliatti sembravano due personaggi destinati a non incontrarsi mai. La sorte ha incrociato invece le loro vite, facendone i protagonisti avversari di tutto il tumultuoso periodo della storia italiana che va dall’epilogo del fascismo alla nascita della democrazia repubblicana. Plutarco nelle sue Vite Parallele li avrebbe collocati fra i ricostruttori o gli statisti come Epaminonda e Scipione, Temistocle e Camillo. Anche se con ruoli contrapposti, De Gasperi e Togliatti sono stati tra gli artefici della rinascita del Paese dopo le devastazioni belliche e lo sfacelo compiuto dal regime mussoliniano. Di De Gasperi come abbiamo visto è in atto il processo di beatificazione. Di Togliatti, Ercole Ercoli, questo era il suo nome durante la Resistenza, è in corso un processo di revisione storica per verificare quanto la sua «doppiezza» fu reale e quanto, oltre alla rivoluzione comunista, egli amò anche l’Italia. «Io scrivo vite non storie», diceva Plutarco. Di De Gasperi e Togliatti più volte è stata raccontata la storia ma non la vita. La storia ce li mostra come protagonisti politici, personaggi incastonati nei palazzi del governo e del potere, o negli scontri di piazza e nei tumulti ma pur sempre avvolti nella loro dimensione pubblica. La vita ce li restituisce come due uomini appassionatamente innamorati delle loro donne: della moglie Francesca e della compagna Nilde Iotti. «È l’amore che ci domina, ci unisce, ci fonde in uno. Io ho un grande temperamento fisico e un grande temperamento spirituale. Del primo tu senti la stretta, quando le mie braccia si stringono attorno al tuo bel corpo, del secondo tu hai la sensazione quando ti guardo e quando ti parlo.. .». In questa lettera alla moglie, il severo statista trentino si scioglie come un emulo di Catullo. Con Nilde Iotti Togliatti lascia alfine la sua apparente freddezza e impenetrabilità. Per questa donna il segretario comunista si era separato dalla moglie Rita Montagnana. È Nilde Iotti, giovane e avvenente deputata, a trovarsi accanto a lui quando nel primo pomeriggio del 14 luglio 1948 a Roma, a due passi da Montecitorio, rimane ferito in un attentato. Amante era una parola proibita alle orecchie puritane dei comunisti dell’epoca. Alla Iotti per di più si rimproverava di non essere una vera rivoluzionaria e di aver studiato alla Cattolica. Togliatti affrontò grandi incomprensioni per i suoi sentimenti, e più di lui tali incomprensioni sfidò lei, costretta a essere all’inizio una convivente segreta. Nel 1922 lui e De Gasperi erano i leader del movimento popolare e di quello comunista. Costretti all’esilio, ripararono ciascuno nella capitale della propria chiesa, De Gasperi in Vaticano dal 1929 e Togliatti a Mosca dal 1926. Alla caduta del regime sono tornati alla guida delle loro formazioni. Sono stati capi indiscussi come nessun altro dopo di loro è riuscito a essere. In cinque anni, dal 1943 al 1948, l’Italia è passata dal fascismo alla democrazia, dalla monarchia alla repubblica, dalla guerra civile alla pacificazione, dallo Statuto albertino alla Costituzione, dalla soppressione delle elezioni al suffragio universale, dal partito unico al pluralismo, dall’isolamento internazionale all’alleanza coi Paesi occidentali. In tal modo il Paese faceva i passi da gigante della ricostruzione. De Gasperi ha lottato per tutto questo, Togliatti ne ha osteggiato le scelte di politica interna e di politica estera, anche se in cuor suo sapeva bene che gli accordi di Yalta del febbraio 1945 avevano collocato l’Italia a Ovest e non a Est dello scacchiere mondiale. Il 18 aprile del 1948 si affrontarono in una battaglia elettorale che avrebbe segnato il futuro del Paese. L’Italia di quegli anni era percorsa da tensioni e da passioni civili e politiche oggi impensabili. Togliatti poteva contare sulla macchina organizzativa più potente che un partito avesse in tutta l’Europa occidentale: un esercito di due milioni di iscritti, 36 mila cellule, una galassia di cooperative rosse, sindacati, sezioni di partito. I comunisti si presentavano alle elezioni con i socialisti di Pietro Nenni formando insieme il Fronte Popolare. Sulla carta, in base ai risultati delle elezioni per la Costituente di neppure due anni prima la maggioranza era loro. L’esercito di De Gasperi era formato dai fedeli che affollavano le migliaia di parrocchie italiane, dai 300 mila volontari dei Comitati Civici costituiti da Luigi Gedda, da una quantità di cooperative bianche, congregazioni, associazioni cattoliche, ordini religiosi, confraternite. De Gasperi aveva con sé la Chiesa di Pio XII e la paura del comunismo, al quale contrappose la scelta democratica: fu questa la proposta vincente. Lo scontro elettorale si polarizzò intorno alle loro figure e alle loro personalità. Il mite, severo, religioso De Gasperi diventò astuto e agguerrito per fronteggiare il suo freddo rivale, che aveva alle spalle una scuola chiamata Stalin. Se uno è stato il padre della Patria, l’altro paradossalmente vi ha contributo con le sue resistenze. Ciò significa che entrambi sono nel Pantheon della nostra storia solo con una differenza di quote? «Ora c’è la tendenza ad accostarli – reagisce la figlia maggiore di De Gasperi, Maria Romana – ma io non sono d’accordo. La patria di Togliatti non era l’Italia, quella di mio padre sì». «Certo era obbedientissimo a Mosca», aggiunge Giulio Andreotti, il quale fa poi una serie di distinguo sul ruolo di Togliatti: «Era un personaggio duro, dava poca confidenza alle persone, ma non appena arrivò in Italia cambiò la linea del partito alla ricerca di un modus vivendi con la monarchia finché il fascismo non fosse abbattuto e poi collaborò perché il passaggio istituzionale avvenisse senza traumi». Giuseppe Vacca, storico e direttore dell’Istituto Gramsci, il 18 agosto 2011 ha tenuto a Pieve Tesino una lectio magistralis intitolata «De Gasperi visto dal Pci». In tal modo ha restituito la relazione con la quale nel 2004 Renato Moro, a un convegno del Gramsci e dell’Università Roma Tre, aveva svolto un tema speculare: «Togliatti nel giudizio del mondo cattolico». Nell’affrontare il tema, Vacca ha riconosciuto che «la percezione della figura di De Gasperi da parte dei comunisti italiani risulta molto meno ricca e variegata di quella di Togliatti da parte del mondo cattolico». Il rinvio è all’immagine dello statista trentino che era stata delineata dal segretario del Partito comunista in un ampio e severo scritto in sei puntate pubblicato su «Rinascita» tra il 1955 e il 1956, intitolato «È possibile un giudizio equanime sull’opera di Alcide De Gasperi?». Questo scritto ha influenzato a lungo i sentimenti della base comunista nei confronti di De Gasperi e della Democrazia cristiana. «Evidentemente il giudizio di Togliatti – commenta Vacca – risentiva di ciò che era sedimentato negli anni. Il profilo che ne disegnò è quello di un nemico piuttosto che di un avversario». Il loro ultimo incontro avvenne nel luglio 1953, durante la crisi di governo dopo le elezioni della cosiddetta legge truffa. «Fu un incontro gelido», ricorda Andreotti che era presente. E gelidamente il Migliore, come Togliatti veniva chiamato dai suoi, si comportò l’anno dopo alla notizia della morte di De Gasperi: «[...] Se le notizie son vere sembra sia morto di ira al vedere come si stanno imponendo alcune delle nostre più giuste e umane proposte: distensione internazionale, pace...». Il riferimento era al fallimento delle trattative sulla Ced, la Comunità europea di difesa per la quale De Gasperi tanto si era battuto. Un punto in comune lo ebbero nell’amicizia di entrambi con un sacerdote, don Giuseppe De Luca, uno dei maggiori uomini di cultura e intellettuali cattolici del secolo scorso, scomparso nel 1962 a 64 anni. Fu il tramite personale del segretario comunista con il Vaticano da quando i due si conobbero a Roma, nella casa di Franco Rodano, sul finire del 1944, diventando amici. Fu don Giuseppe a suggerire a Togliatti e ai suoi nel 1961 di «farsi vivi» per gli ottanta anni di Giovanni XXIII. Il segretario del Pci girò il consiglio a Krusciov, il quale il 25 ottobre di quell’anno mandò al papa un telegramma di auguri, che venne subito pubblicato da «L’Osservatore Romano». Fu il primo gesto di distensione di Mosca nei confronti della Santa Sede dalla rivoluzione del 1917. Ebbe inizio così l’Ostpolitik vaticana. Nel marzo 1963 Giovanni XXIII riceveva in udienza in Vaticano la figlia di Krusciov Rada con il marito Alexiej AdjubeF.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: