sabato 19 aprile 2014
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È uno dei simboli di Trieste. E in qualche modo dell'Unità compiuta dell'Italia. Venne costruito alcuni anni dopo la Grande guerra ma a questa è profondamente legato. Stiamo parlando del Faro della Vittoria, che riapre le porte ai visitatori. A guardarlo dall'esterno, con le 8.500 tonnellate ripartite lungo i quasi 68 metri di altezza che si concludono nell'alata Vittoria, e ad osservare, con il buio, il fascio di luce tra i più potenti al mondo, visibile fino a oltre 35 miglia di distanza, ci si aspetterebbe che il cuore del Faro della Vittoria rispondesse alla stessa possanza che imprime la visione del Marinaio Ignoto, vigile e fiero nei suoi otto metri di pietra. Invece, quello del Faro è un cuore piccolo: ad irrogare tanta luce è una lampadina alta quattro centimetri e sottile quanto un dito. Non si è mai spenta, ma il Faro tornerà dal 26 aprile ad aprire le sue porte ai visitatori. Certo, la lampadina, a dispetto delle dimensioni, esprime una potenza di 1.000 Watt. Il torace che racchiude e protegge questo cuore è l'ottica, che ne decuplica la forza. L'ottica è una struttura rotante in cristalli su supporto di metallo non fissata ma galleggiante su un bagno di mercurio che ne assicura orizzontalità e verticalità. È la lanterna, il piano più alto del Faro, da dove si domina la città. Per la delicatezza dei congegni e per l'incolumità delle persone, quest'area non sarà accessibile ai visitatori, come disposto dal Comando Marina Fari di Venezia (che fa capo alla Marina Militare). Che potranno salire fino alla terrazza appena sotto la lanterna, godendo uno splendido e ampio panorama. La visita sarà inserita nei percorsi della Grande Guerra (in base a una recente Convenzione, la Provincia di Trieste ne gestirà l'apertura al pubblico). L'idea di costruire il Faro venne in mente a un amico di quello che sarà il realizzatore dell'opera, l'architetto triestino Arduino Berlam, mentre era sfollato a Bologna, subito dopo l'affermarsi della resistenza sul Piave, come riporta Marino Zerboni nel testo "Il Faro della Vittoria". Berlam la fece propria e dedicò parecchi anni della sua vita a lottare per affermare il progetto, tra detrattori nemici e convinti sostenitori. Benché non citato nei discorsi inaugurali davanti al re Vittorio Emanuele III e messo da parte, Berlam, che per l'opera aveva pagato di tasca sua anche 20mila lire, riuscì tuttavia nell'intento: dopo quattro anni di lavori il 24 maggio 1927 il faro "più perfetto e interessante d'Italia" fu inaugurato. Era costato 5.625.000 lire ed era stato costruito nel complesso dell'ex forte austriaco Kressich, con parti realizzate anche in Cecoslovacchia, a Napoli (la calotta della lanterna) e altrove. Con la dea Nike a svettare sulla cupola, celebrava la vittoria dell'Italia nella prima guerra mondiale e il "conseguente ritorno delle Terre irredente alla Madrepatria", in onore dei caduti sul mare. Della I Guerra mondiale porta, inoltre, un ricordo ben visibile, sul lato che dà sul mare: l'ancora del cacciatorpediniere Audace, che il 3 novembre 1918 attraccando sul Molo San Carlo segnò il ricongiungimento di Trieste all'Italia. Nel Faro, carico di tanti simboli e ricordi, la tecnologia avanza lentamente: sono occorsi 50 anni perché vi venisse installato un ascensore (nel 1968, in occasione del 50/ario della "redenzione" della città), e qualche altro decennio perché vi arrivasse l'elettronica. Non tanta: quella sufficiente a controllare il corretto funzionamento della lanterna, sostituendo anche il sistema a contrappeso (una sorta di carica come per gli orologi a pendolo che durava 12 ore) con uno più comodo e non meccanico.
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